Lavoro, come avere successo ma prima le donne devono curarsi dalla sindrome dell'Impostore

Lavoro, come avere successo ma prima le donne devono curarsi dalla sindrome dell'Impostore
Attenzione alla sindrome dell'impostore, una brutta bestia, ovvero quella sgradevole sensazione che colpisce soprattutto le donne e taglia l'erba sotto i piedi facendole...

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Attenzione alla sindrome dell'impostore, una brutta bestia, ovvero quella sgradevole sensazione che colpisce soprattutto le donne e taglia l'erba sotto i piedi facendole sempre sentire inadeguate, non appropriate, inadatte nei momenti in cui si trovano di fronte ad una prova, un esame, un colloquio di lavoro. La sindrome dell'impostore mina l'autostima, e si fa viva quando si devono tenere discorsi in pubblico, negoziati per ottenere una promozione o uno stipendio. Otto donne su dieci ne soffrono.


Persino Jessica Bennett, il famosissimo gender editor del New York Times, ne è afflitta tanto che racconta serenamente che quando si tratta di pubblicare un suo libro è sempre titubante, e dentro di sé si chiede: ma davvero c'è qualcuno che paga per leggere quello che dico? A definire questa sindrome sono stati due psicologi alla fine degli anni Settanta (Pauline Clance e Suzanne Imes) aprendo una via alle ricerche comportamentali di coloro (donne e minoranze) che si auto-censurano pensando di non essere abbastanza per concorrere a una promozione, per sedere a un tavolo, per meritarsi un aumento di stipendio.

Il fatto è che le donne tendono a giudicare le proprie performance in modo durissimo, inflessibile, con il risultato che diventano i peggiori giudici di loro stesse, anche se in realtà non sono poi così male come percepiscono. E' come se la loro immagine fosse riflessa su uno specchio appannato e vedessero i loro contorni sfumati, non chiari, opachi.


Jessica Bennett afferma che esistono sistemi da mettere a punto per superare questi trabocchetti della mente. Tre i suggerimenti che arrivano dalla gender editor americana più famosa al mondo: mai svalutarsi, non ne vale la pena. Non minare la propria esperienza o le proprie competenze. Poi non sentirsi un bluff, anche quando si è convinte. Perchè non è mai così. Infine, non sentirsi mai sole e imparare a fare una lista dei pregi, ripetere il proprio nome a voce alta, visualizzare i successi quotidiani, e imparare a definire quello che si fa e si è raggiunto non tanto come frutto di fortuna o di una mano che è arrivata dall'alto, ma semplicemente di competenza. Solo in quel momento la sindrome dell'Impostore svanisce.  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero