Tra loro c’è chi ha vissuto per anni in una gabbia di terrore, costretta al silenzio, a non uscire di casa, ad indossare determinati vestiti al posto di altri....
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AIUTO TELEFONICO
Soltanto “ Telefono Rosa” è stato subissato di chiamate, messaggi, richieste di supporto, principalmente psicologico. «L’aumento è stato continuo e costante - spiega Gabriella Carnieri, presidente di “Telefono Rosa” - a marzo c’è stata una leggera flessione per la difficoltà di non avere i centri antiviolenza aperti, ma le donne hanno chiamato lo stesso per chiedere soprattutto sostegno psicologico. Nel periodo del Covid abbiamo avuto un picco di richieste di colloqui con le nostre psicologhe con una media di 40 telefonate al giorno».
Il problema non è soltanto loro perché di mezzo, soprattutto durante le chiusure e le restrizioni, ci sono finiti anche i figli costretti a casa dalla didattica a distanza e dalla sospensione della regolare attività scolastica. «Recentemente - conclude la Carnieri - abbiamo avuto nuovi ingressi nelle case rifugio e due bambini, di 8 e 10 anni, facevano di nuovo la pipì a letto; segno evidente di un forte turbamento. In uno di questi centri c’è anche un altro bambino che appena sente qualcuno usare un tono di voce un po’ alto, corre in camera a rifugiarsi sotto le lenzuola». Vittime anche loro come le madri di una violenza che democraticamente colpisce donne emancipate e non, laureate o con il solo diploma, casalinghe o lavoratrici. Dal report del 2019 l’assessorato alle politiche sociali guidato da Veronica Mammì ha fotografato le vittime: per il 69% sono italiane, una su tre è sposata (32,3%) e circa due su tre hanno figli (61,2%). L’autore dei maltrattamenti è, quasi una volta su tre, il marito (29,8%), seguono l’ex partner (12,8%), l’ex marito (10%) e l’ex convivente (7,2%).
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Il Messaggero