Rachele corre per il podio e per un respiro. Corre perché vuole vincere e perché vuole più tempo. Pilota di rally, 26 anni, ha vinto il campionato italiano...
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A 18 anni, subito dopo aver preso la patente, la prima gara. «Con papà, all’autodromo di Monza, per la Coppa Intereuropa storica. Non sapevo quali fossero i miei limiti fisici, la mia resistenza al caldo. Lui mi ha vista così entusiasta che non mi ha dato il cambio dopo la prima gara e le ho fatte tutte e due. Da quel momento non ho più smesso. Il mio sogno era correre per il rally, tanti chilometri e tanta fatica in più, la gara più dura in assoluto». A 22 anni arriva l’occasione. «Una società sportiva mi ha proposto di partecipare al Campionato italiano rally. Ci ho pensato 5 secondi e ho detto sì. Una delle stagioni più belle della mia vita. Quando vedevo il palco d’arrivo mi venivano le lacrime agli occhi». Nel 2019 Rachele vince il Cir, il campionato italiano rally. «Quest’anno farò l’europeo».
E non è solo questione di motori. «Voglio sensibilizzare le persone alla mia malattia ancora poco conosciuta e informare le donne giovani sulla prevenzione, chi vuole fare un figlio può sottoporsi a un test genetico». #correreperunrespiro è la campagna social di cui Rachele è testimonial, i soldi raccolti (in 4 anni 160mila euro) vanno alla Fondazione per la ricerca sulla fibrosi cistica.
La giovane pilota è anche portacolori del progetto Fia Woman in Motorsport, promosso dalla Federazione (Federation International de l’automobile) per coinvolgere sempre più donne in questo genere di sport. E con automobile.it (sito di annunci di auto usate, nuove, Km 0 e a noleggio di proprietà del gruppo eBay) lancia un messaggio per superare i pregiudizi in un mondo al 98 per cento di uomini dare qualche suggerimento alle ragazze che vogliono seguire il suo esempio.
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«Il mio mito in assoluto è Michele Mouton, una donna che ha fatto la storia del rally ed è presidente della Fia Woman in Motorsport. Quando è venuta a conoscenza della mia storia mi ha proposto di diventare portacolori. Pregiudizi? Ne ho incontrati tanti. La prima volta che ho vinto, il secondo e il terzo classificato non si sono presentati al podio. E poi le voci: dicevano che vincevo perché ero leggera, il che è falso perché la macchina viene zavorrata per raggiungere il peso standard. Tra il pubblico mia madre sentiva commenti del tipo: la vedi quella, non ce la fa nemmeno a salire in auto. Come se non avessi fatto mille chilometri di rally. Gli uomini possono sbagliare, le donne no. A noi non viene data questa possibilità, dobbiamo sempre dare il massimo».
Rachele ha imparato a non dare ascolto alle voci, a sostenere quegli sguardi, toh! una donna al volante.
Il Messaggero