Sveva Basirah Balzini sotto il velo ci mette un po' di tutto. «Sono musulmana, femminista, queer e voglio diventare imama». Ha 21 anni, è di...
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Sveva conosce l'islam lavorando in un doposcuola della comunità di Sant'Egidio. «Lì sono entrata in contatto con le famiglie musulmane, i genitori dei bambini stranieri. Mi sorprendeva che facessero il Ramadan e pregassero più volte al giorno. Così ho voluto approfondire e mi sono messa a studiare il Corano, la prima volta che l'ho letto, ho pianto. Ho scoperto una religione molto vicina a me e mi sono sentita accolta da questa comunità». La conversione, il velo, la scoperta che l'uomo di cui è innamorata - un curdo turco conosciuto in un kebab - è un violento. «Per un anno ho subito stupri e non riuscivo a reagire, l'ho fatto solo quando ho visto il sangue di un'emorragia».
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Dopo essere uscita da quella storia, Sveva decide di fare qualcosa per le altre, le sue ferite vuole usarle per aiutare chi è vittima di relazioni violente. «Ho fondato Slm, sono l'unica mia, un movimento di femminismo intersezionale: è aperto a tutte, trans, musulmane, pagane, atee, agnostiche, ex musulmane, cattoliche, ed è vicino alla comunità Lbgt». Essere musulmana e femminista, come si concilia? «Il femminismo islamico vuole spezzare le catene in cui è stato rinchiusa la visione occidentale dell'islam. Nei vari paesi a maggioranza musulmana l'islam è particolarmente maschilista.
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Come ti definisci? «Sono una musulmana femminista, progressista, queer ossia sessualmente eccentrica ed eteroflessibile. Vuol dire che sono eterosessuale ma può capitare che mi piaccia una donna, nella sua totalità. Essere omosessuale, transessuale o queer non va assolutamente contro gli insegnamenti dell’Islam. Io mi ispiro a Ludovic-Mohamed Zahed, l'imam gay di Parigi che guida una moschea inclusiva. Sono convinta che una parte dell’elevazione verso Dio sta nella realizzazione personale, dei propri talenti, delle proprie scelte». In questi giorni si è parlato molto della sardina con il velo e degli attacchi che ha ricevuto per aver mostrato sul palco un simbolo di oppressione. Che cosa è per te il velo? «Lo porto da quando mi sono convertita, ma non è mai stato così fondamentale. Sono una musulmana privilegiata, possono indossarlo o meno a mia scelta. E non mi metterei a parlare di donne che fanno scelte diverse e vivono in altri contesti. In Canada, un paese islamofobico, indossare il niqab è rivoluzionario. In Iran, un paese ateofobico, è rivoluzionario non mettere il velo. Le polemiche sulla sardina con il velo le trovo tristi, le donne dovrebbero attaccare il sistema e non altre donne, invece lei è stata criticata da una iraniana». I tuoi progetti? «Voglio prendere il diploma, ho interrotto la scuola per problemi personali ma adesso ho ricominciato a studiare. Continuare nel mio impegno accanto alle donne vittima di violenza. E poi sogno di diventare imama».
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Il Messaggero