ROMA Altro che soffitto di cristallo. L’accesso al mondo del lavoro delle donne resta pieno di ostacoli, di muri contro cui la preparazione delle donne rischia di andare a...
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«Il nodo principale alla realizzazione professionale delle donne,ora come direi trent’anni fa, resta la maternità. Ben poco è cambiato. I dati statistici non raccontano fino in fondo la più grande rinuncia del nostro paese: l’utilizzo del talento e delle capacità delle donne nel mondo delle donne!».
Gender pay gap. Bagni Cipriani è molto chiara su questo. Quando parla sorride ma è ben chiaro che è un sorriso carico di amarezza. «Quando qualcuno fa un figlio di solito è una donna – sorride ancora – e di solito, ma questo è meno naturale, è lei che se ne occupa. E da trent’anni noi non ci spostiamo dalla considerazione che la maternità è un fatto privato di cui la donna si deve occupare da sola. Per le donne è tutto più difficile e più lento. Anche nel percorso di carriera le donne stanno due passi indietro agli uomini. Abbiamo anche faticato ad avere i dati precisi sul gender pay gap. E’ del 17 per cento. Cioè a parità di ruoli e lavoro una donna guadagna il 17 per cento in meno».
Lavoro addio Ma il dato più dolente, chiarisce la consigliera, è un altro: «I numeri che ci fornisce l’ispettorato del lavoro ci dicono che durante il primo anno di vita del bambino, un periodo in cui i lavoratori e le lavoratrici sono molto protetti, c’è un aumento costante delle dimissioni. Si è passati da 30mila dimissioni nel 2017 a 49451 persone, nel 95 per cento donne, lo scorso anno. Queste sono donne che nella stragrande maggioranza dei casi non rientreranno più nel mondo del lavoro, non avranno una contribuzione adeguata, una volta anziane avranno una pensione bassissima: circa il 95 per cento delle donne ha una pensione sotto i mille euro. Come al solito le donne suppliscono alla mancanza di welfare senza alcun riconoscimento».
Una situazione insostenibile, per la consigliera. «Le ragazze sono più brave e performanti nel lavoro, investiamo perché studino, loro rispondono con risultati eccellenti ma poi sbattono contro quella che dovrebbe essere una risorsa preziosa anche per lo Stato, la maternità. Invece lo Stato le lascia sole».
Ma perché questa impennata negli abbandoni del lavoro? «Le risposte non sono facili ma dal mio osservatorio percepisco questo cambiamento: le strutture, i servizi, anche laddove ci sono, sono troppo costosi. E i nonni sono ancora al lavoro e non lo possono lasciare perché contribuiscono ancora in maniera importante al bilancio familiare». I muri, però, non sono solo questi. «Sono le stesse donne che sembrano rassegnate. Che fanno percorsi di studio meno qualificati o che, una volta laureate, non cercano una professione all’altezza delle loro possibilità ma ne cercano una con la quale possano conciliare anche la famiglia». Scelta assolutamente lecita se fosse libera. Ma sono proprio le prigioni dei condizionamenti culturali, le più pericolose, perché non le vediamo. Le abbiamo dentro.
Rapporti di potere E poco funziona, anche oggi il congedo parentale ai padri che pure, in alcuni casi, si mettono in gioco molto più dei loro genitori. «Ho l’impressione che il congedo parentale lo prenda il padre quando ha il lavoro più garantito rispetto alla moglie». Insomma, un panorama sconfortante. «D’altra parte alla base di tutto ci sono i rapporti di potere. A un uomo non conviene cederlo. Ha tanto da perderci. Oggi, poi, con la crisi che stiamo attraversando, spesso un posto di lavoro dato a una donna è un posto di lavoro tolto a un uomo».
Cosa fare Cosa fare per cambiare i contorni di questo panorama sul mondo del lavoro al femminile? Per accelerare i tempi di quei cambiamenti che pure ci sono ma procedono a ritmi di una lentezza estenuante?
«La maternità è una condizione di cui non può farsi carico solo la coppia. Deve essere a carico della fiscalità generale, che agevolerebbe soprattutto le piccole e medie imprese che sono quelle che sopportano meno le assenze per maternità. Alle coppie che vogliono figli servono i servizi, pubblici e aziendali laddove è possibile. E devono poterli usare a piacere, senza che sia lo Stato a indicare cosa fare».
Dunque meno bonus maternità e la possibilità, invece, di avere detassati i servizi che la coppia sceglie per i propri bambini: dal nido alla baby sitter e poi, via via, alle altre necessità cui si va incontro quando i bambini crescono.
E prima, «agevolare le carriere delle donne con ogni mezzo, anche le quote rosa e spingere sulla possibilità di fare lavori diversi: oggi la maggioranza delle donne lavora nel pubblico o nel terziario». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero