Una storia di coraggio, anticonformismo, libertà interiore. Il condizionamento culturale più forte? Quello che riesce a influenzare le tue scelte senza che tu...
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Ma gli inizi sono stati ben diversi. «Ho fatto Economia a Perugia e forse erano gli ultimi anni in cui il pensiero comune era che nella vita bisognava fare carriera, guadagnare e fare soldi, con ogni mezzo. E le donne, se volevano raggiungere qualche risultato dovevano comportarsi come gli uomini. Tutto andava in quella direzione. E così anche io, che volevo realizzarmi nella vita ho studiato molto e mi sono messa in competizione». Ottimi risultati all'università, master di livello,il primo ingresso nel mondo della finanza, come consulente. E niente figli, per stare al passo con gli uomini. «Il mio compito era dire alle aziende quali strade prendere per crescere o per superare le crisi. Giravo l'Italia a risolvere i problemi degli altri». Arrivavano anche i risultati, buoni stipendi, apprezzamenti, riconoscibilità sociale. Poi il passaggio nella grande distribuzione. Anche lì i risultati professionali non mancano ma qualcosa si incrina: troppa la distanza tra quel mondo del lavoro, quelle regole e i desideri riaffioravano dopo essere stati messi a tacere.
«Mi era capitato tra le mani il businesse plan di un progetto di coltivazioni idroponiche di Dubai che prevedeva anche degli alveari e mi scattò qualcosa dentro».Un colpo di fulmine per il mondo delle api. «Voglio provarci, pensai. Sono andata in giro per il mondo per consigliare agli altri come fare impresa, ora tento io». Niente master questa volta ma un anno di lavoro gratuito da un grande apicultore, «per imparare il mestiere». E poi, con la liquidazione da manager, ecco che Eleonora diventa apicultrice. Duecento casse di api, i terreni in Umbria, ai confini con la Toscana, bordati dai cespugli di erica E la passione che diventa lavoro.
«L'apicultura non è difficile ma devi trovare la sintonia con gli insetti. Mi hanno insegnato moltissimo, le api. Mi hanno insegnato l'umiltà e cos'è la gerarchia partecipata. Mi hanno fatto capire che tutti servono ma nessuno è indispensabile. Ora metto in pratica quello che insegnavo agli altri. E mi sento realizzata perchè con il mio lavoro sono in sintonia con me stessa».
Ma a lavorare con le api si scopre anche che la natura non è romantica. «Le api sono esseri dolcissimi ma anche capaci di ucciderti in pochissimo tempo. Io ero anche falconiera. L'ultimo falco me l'hanno ucciso loro, aggredendolo. Shock anafilattico. L'alveare, però, è un luogo incredibile, dove dentro tutto è sacro: le forme delle celle, la produzione della pappa reale, tutto». Ha scelto di non fare l'apicultrice nomade. «Lascio le api il più possibile stanziali, così entrano in sinergia con l'ambiente».
Nostalgia per la vita da manager? «Assolutamente no». Però qualcosa è rimasto: «Ho vinto per due anni consecutivi il premio Giulia Piana con il mio miele di castagno. E' l'unica competizione che mi concedo». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero