La battaglia di Dubai in tribunale. Al via la sfida legale tra la principessa in fuga e lo sceicco. Una lite tra marito e moglie, ma anche e soprattutto fra due delle...
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Tecnicamente il processo riguarda l'affidamento e il sostentamento dei figli che Haya ha portato con sé quando ha abbandonato nottetempo gli Emirati - con l'aiuto di un diplomatico tedesco, pare - per rifugiarsi alla fine nella sua residenza londinese da mille e una notte: blindatissima e sotto protezione dopo aver denunciato di temere per la sua vita. Nata in Giordania, educata nelle più esclusive scuole d'oltremanica, appassionata di cavalli (al pari dell'emiro) e già olimpionica di equitazione, la principessa Haya aveva sposato nel 2004 lo sceicco Mohammed, oggi 70enne e padre in totale di 23 figli avuti da una quantità di mogli, e ne era divenuta al tempo la sesta consorte «junior».
Salvo ritrovarsi imprigionata in una gabbia dorata, o almeno al centro di un menage familiare rivelatosi con gli anni insopportabile. Fino all'abbandono del tetto coniugale e alla scelta di asserragliarsi in una delle magioni di famiglia: quella che sorge nel cuore di Londra nel miglio dorato di Kensington Garden (valore stimato, 85 milioni di sterline). Scelta che ha creato non poco imbarazzo nel Regno Unito, il cui governo e la cui corte hanno legami strettissimi sia con gli Emirati Arabi sia con Amman. A contribuire a far esplodere la crisi sembra possa essere stata in effetti un'altra fuga da Dubai. Quella di una delle figlie d'altro letto dello sceicco, la 33enne Latifa, allontanatasi via mare l'anno scorso grazie alla complicità di uno skipper francese, ma catturata quasi subito da unità della Marina militare emiratina al largo delle coste dell'India, per essere riportata indietro e fatta sparire dietro le mura del palazzo, tra voci di depressione e sindromi varie. Un'odissea valsa alle autorità di Dubai il sospetto del sequestro di persona da parte di attivisti dei diritti umani e su cui la matrigna Haya era intervenuta in un primo momento in difesa della reputazione dell'Emirato, parlando di Latifa come di una donna «vulnerabile» e «strumentalizzata». Salvo poi denunciare l'accaduto, attraverso fonti a lei vicine e sulla base «d'informazioni più precise», come un abuso in più da contestare in tribunale all'ormai quasi ex consorte. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero