Sofia Bignamini, autrice di "Quando nasce una donna": «Viviamo in una fase di rivalsa per quanto ci è stato precluso»

Sofia Bignamini
Nell’introduzione del suo ultimo libro, la psicoterapeuta Sofia Bignamini racconta come il primo interesse verso «cosa sia davvero una femmina» sia nato a otto...

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Nell’introduzione del suo ultimo libro, la psicoterapeuta Sofia Bignamini racconta come il primo interesse verso «cosa sia davvero una femmina» sia nato a otto anni, quando guardava in tv il cartone animato "Lady Oscar". Una curiosità che è proseguita fino ad oggi con la domanda: “Cosa significa nascere femmina e diventare donna?”. Nel saggio “Quando nasce una donna”, edito da Solferino, Bignamini analizza la questione attraverso le numerose testimonianze di donne dai 10 agli 80 anni, raccolte nel suo percorso di formazione alla diagnosi e all'intervento con soggetti in età evolutiva. 

Un titolo esplicativo, eppure non manca il punto interrogativo?

«È una domanda che ci si può fare ora, perché forse qualche decennio fa non era nemmeno il caso di chiederselo. Sono partita da questo dubbio: è così cambiato il femminile?».

Cosa si è risposta?

«Prima c’erano delle tappe scontate, che facevano appello allo scopo della femmina nella specie, il suo essere scelta da un partner, se possibile fecondata e dare vita a una nuova famiglia. Chi sceglieva un percorso diverso apparteneva sempre a una categoria speciale. Adesso diventare grande è un processo più complesso, reversibile e articolato. Più in generale tra maschi e femminile ci si chiede quando si diventa grandi, ma per il femminile è un quesito complesso, diverso da come poteva essere un tempo».

Da dove arrivano le risposte contenute nel libro?

«Dall’ascolto. Mi sono messa a ripercorrere storie di donne con cui ho lavorato e lavoro come psicoterapeuta e ho avuto l’impressione di averle accompagnate a nascere. Poi ho intervistato donne di età diversa chiedendo loro: “Quando è stato il primo momento in cui hai pensato sono proprio diventata una donna, sono diventata grande?”. Era interessante andare a vedere aspetti comuni, sebbene fossero storie diverse».

Cosa ne ha dedotto?

«Diventare grandi vuol dire affrontare delle prove iniziatiche che hanno a che fare con il mettere alla prova degli aspetti di sé come affrontare un dolore, come il lutto di un genitore o di un amore. In ogni caso è l’esperienza che attinge alle proprie risorse e porta a scoprire che siamo più forti di quello che si pensava. Come i riti iniziatici di un tempo, si superano delle prove. Come se affrontare un dolore e scoprirsi di essere in grado di sopportarlo portasse consapevolezza, scoprendosi grandi, individui adulti».

Maschi e femmine sono uguali?

«Certi aspetti della personalità e dell’identità che hanno a che vedere con l’essere adulto, come la percezione della propria autonomia e responsabilità, prima riguardavano di più il maschile».

Come mai?

«Era come se il femminile venisse racchiuso dentro relazioni di appartenenza e accudimento: essere brave mogli e brave madri. Adesso anche per il femminile non basta più solo questa parte e dobbiamo cimentarci con il sentirci capaci di affrontare un dolore e sufficientemente autonome per intraprendere dei viaggi che ci portano a cercare le nostre colonne d’ercole, riuscire a stare lontano dagli affetti e le pulsioni primarie e sentire di avere un talento o competenza per diventare parte attiva del mondo».

Per i maschi è davvero più facile?

«Per certi versi per loro è più difficile perché il femminile è come se fosse in una fase di scoperta e appropriazione. Una rivalsa, la rivendicazione di tutto quello che le era stato precluso. C’è, con fatica ma anche forza, la voglia di affermarsi, con profonda incertezza rispetto al chiedersi che cosa gli sia rimasto. Nella fatica di trovare la propria strada, maschi e femmine non sono così diversi».

Cosa si augura arrivi al lettore?

«Soprattutto che le ragazze non si sentano sole nelle esperienze che vivono. Spesso tendiamo a dover voler nascondere le nostre parti più fragili, sensibili o vulnerabili perché le sentiamo sbagliate o ci sentiamo schiacciate dentro la spinta al bisogno di essere performanti. Quando sentiamo la vulnerabilità dentro di noi ci sentiamo sbagliate. Vorrei che ci si sentisse meno sole e meno sbagliate con uomini. E che l’altra metà della mela capisse meglio quello che noi donne viviamo dentro».

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Il Messaggero