Il mondo femminile che raggruppa una fitta rete di associazioni impegnate per ridurre il gap di genere, si sta mobilitando schierandosi per il No al referendum sul taglio...
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In una specie di manifesto che sta avendo grande diffusione attraverso il tam tam sulle chat e sui social, rimbalzando da un cellulare all'altro, viene spiegato molto bene che la riforma costituzionale, in assenza di una contestuale riforma elettorale e dei partiti, resta un salto al buio tale da «compromette la rappresentanza parlamentare e il ruolo stesso del Parlamento».
Al manifesto hanno aderito deputate, magistrate, avvocate, docenti universitarie, storiche femministe, sindache, giornaliste, scrittrici, manager ma anche professioniste di aziende private piuttosto lontane dalla politica, a riprova che il movimento di donne che ha attivato il fronte del 'No' al referendum si sta rivelando piuttosto ampio, trasversale, bipartisan e soprattutto in crescita. Le prime firmatarie sono Antonella Anselmo, Fulvia Astolfi, Laura Onofri
Nel testo si legge. «Con il taglio dei parlamentari la selezione delle candidature da parte delle dirigenze dei partiti o degli stessi leader (già oggi fortemente guidata non sempre da criteri di competenza ma piuttosto da quelli di fedeltà) sarebbe ancor più determinata da considerazioni non valoriali»
Inoltre fa affiorare la posizione predominante di leadership maschile. «L’entrata in Parlamento è nominalmente aperta a tutti, ma di fatto risulta rigidamente controllata dai partiti. Questo dato mostra di avere un effetto relativamente negativo sulle chances di carriera politica delle donne. La misura prevista nella legge elettorale volta all’incremento della rappresentanza femminile non ha consentito il raggiungimento del 40% di donne elette».
Ruoli centrali negli organi parlamentari: «i dati tendono a confinare la rappresentanza femminile in aree settoriali e a ricostruire situazioni di marginalità all’interno del Parlamento: è significativo il fatto che le donne siano assenti in dicasteri importanti quali quelli economici e che siano prevalentemente presenti nelle commissioni parlamentari che trattano questioni tradizionalmente considerate come di pertinenza delle donne». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero