Stuprata dal branco a 13 anni, costretta a emigrare al Nord. Il papà: «Tutto il paese contro di me»

Stuprata dal branco a 13 anni, costretta a emigrare al Nord. Il papà: «Tutto il paese contro di me»
Quando era una ragazzina, a 13 anni, era stata violentata dal branco: abusi ripetuti, andati avanti per due anni. Ma l’incubo, per questa ragazza, non era ancora finito:...

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Quando era una ragazzina, a 13 anni, era stata violentata dal branco: abusi ripetuti, andati avanti per due anni. Ma l’incubo, per questa ragazza, non era ancora finito: diversi anni dopo infatti, dopo le condanne ai danni dei cinque aguzzini, la giovane è stata praticamente costretta ad emigrare da Melito di Porto Salvo, in Calabria, al Nord, insieme a suo padre.


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Dopo aver denunciato i suoi stupratori infatti, la ragazzina e la sua famiglia hanno iniziato a ricevere avvertimenti di un certo tipo, con il paese che è sembrato rivoltarsi contro le vittime anziché contro i colpevoli. È stato proprio il papà a raccontarlo in un’intervista al quotidiano La Stampa: «Sono andato dal padre di uno di loro, che aveva 17 anni all’epoca: mi ha detto che mia figlia si era fatta una brutta nomina in paese. Altri mi dissero che non dovevo denunciare. Era come se mia figlia si fosse meritata quella violenza».

I cinque condannati in primo grado, con pene dai 6 ai 9 anni di carcere, sono Davide Schimizzi, fratello di un poliziotto, Michele Nucera, Lorenzo Tripoli, Antonio Virduci, figlio di un maresciallo dell’esercito, e Giovanni Iamonte, che sarebbe rampollo di un esponente della ‘ndrangheta. I cinque andavano a prendere la ragazzina da scuola, si appartavano con lei e la violentavano. Il padre si accorse di tutto leggendo per caso la brutta copia di un tema che aveva lasciato a casa.


Dopo la denuncia sono arrivate le condanne, ma a scappare, ora che i cinque giovani condannati sono in libertà in attesa del processo d’appello, sono stati la vittima e suo papà. Aiutati dall’associazione Libera, ora vivono al Nord. «Ho dovuto lasciare quello che avevo di più caro a Melito. Noi siamo qua, quei ragazzi invece sono stati scarcerati», le amare parole di un padre ferito. La ragazza intanto è cresciuta e si è diplomata in una scuola professionale, ha nuovi amici e sogna di diventare una truccatrice: l’incubo per lei, almeno apparentemente, lontana dai suoi aguzzini, è finito. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero