Katie Bourman scopre l'algoritmo che ha permesso la foto del Buco Nero e finisce vittima del cyberbullismo

Katie Bourman scopre l'algoritmo che ha permesso la foto del Buco Nero e finisce vittima del cyberbullismo
New York – Aggredita sul web da migliaia di cyberbulli misogini che non le hanno voluto riconoscere il merito di avere scoperto l'algoritmo chiave che ha permesso di...

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New York – Aggredita sul web da migliaia di cyberbulli misogini che non le hanno voluto riconoscere il merito di avere scoperto l'algoritmo chiave che ha permesso di arrivare alla fotografia del buco nero. Il caso assurdo di Katie Bourman – la giovane scienziata 29enne del Mit - è al centro di un dibattito che ha fatto affiorare, ancora una volta, che le scoperte scientifiche fatte da una donna faticano di più ad essere riconosciute rispetto a quelle degli uomini.


Nel caso di Katie Bourman i bulli si sono manifestati sui social – soprattutto su Facebook e Twitter – accusandola di attirarsi tutti i meriti di questa incredibile scoperta scientifica. A questa ricercatrice si deve il merito di avere individuato nel 2016 l'algoritmo che un team di scienziati di diversi paesi ha utilizzato per processare milioni di dati e informazioni, fino ad ottenere l'immagine del primo buco nero mai fotografato, certificandone l'esistenza, proprio come aveva previsto Einstein con la teoria della relatività.

La popolarità internazionale del volto sorridente di Katie Bourman, all'indomani della diffusione della fotografia del secolo, è stata talmente rapida e globale, da attirarsi parecchie antipatie fino a diventare il bersaglio di una vera e propria campagna di aggressione sessista sui social. Tutto è nato quando su Twitter è stato postato - dall'account ufficiale del Mit - l'immagine di Katie, sopraffatta dall'emozione, nel momento in cui la ricercatrice osservava la fotografia del secolo, diventando così la testimonial di questa operazione scientifica complessa e internazionale.


Da quel momento sono iniziati commenti sprezzanti su di lei, giudizi sessisti, parte di una campagna che ha fatto correre ai ripari persino il Mit. La ricercatrice ha dovuto postare su Facebook una dichiarazione riparatoria per spiegare, quasi giustificandosi, che l'operazione scientifica nasceva da una equipe internazionale e che non era solo merito suo. Ma i commenti negativi continuavano: «Ha lavorato per il 6% e a lei va il 100 % del merito». La questione è stata ampiamente dibattuta a livello nazionale. Il Washington Post, in un editoriale, ha affermato che tutta questa bufera è nata dalla contrarietà di coloro che non hanno sicuramente apprezzato che una donna potesse essere il volto della scienza per una scoperta del genere. In altri articoli sono stati evidenziati diversi studi secondo i quali le donne in campo scientifico sono pagate tra il 30 e il 40 per cento in meno degli uomini.

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Il Messaggero