La protesta di due sorelle, fondatrici del movimento “Liberi di fare”, solleva le costanti difficoltà che ogni giorno incontra chi ha delle disabilità....
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«Il primo giorno, sabato, al check-in ci hanno presentato tre motivi per cui non avremmo potuto volare, con tanto di dita alzate per indicare i numeri, numero uno, numero due, numero tre: le batterie delle carrozzine, la preoccupazione per quale posizione potevamo assumere sul sedile e il fatto che non avevamo mandato la documentazione in anticipo - scrivono le sorelle Paolini sulla pagina social da loro gestita, Witty Wheels -. Le batterie avevano ricevuto l’approvazione per volare (oltre che da vari voli precedenti) dalla compagnia aerea, informata per email. Eppure lì al check-in ci continuavano a dire che non andavano bene. Alla richiesta del perché, non sapevano rispondere e cambiavano argomento». «Riguardo alla posizione in aereo - proseguono -, noi di solito viaggiamo stese, ma stavolta ci hanno detto che non era permesso. Però possiamo anche stare sedute durante il volo, anche se con molto meno comfort, ed eravamo pronte a farlo. Ma non ci hanno creduto, hanno chiesto un certificato medico che lo attestasse e noi glielo abbiamo fornito. Non gli andava ancora bene. Dovevamo contattare la compagnia per email e compilare un lungo modulo per farci dire da un medico in Germania se eravamo idonee a volare. Ma a quel punto ci era finito il tempo». E per quanto riguarda la documentazione in anticipo, sottolineano Elena e Maria Chiara, «non ci hanno saputo dire chiaramente che cosa avremmo dovuto mandare. “Dovevate mandare la documentazione almeno 48 ore prima del volo, ora è tardi”: ho chiesto quale documentazione, visto che le informazioni richieste quando viaggi con una carrozzina elettrica erano state mandate al momento della prenotazione. “Eh, tutto il possibile”, mi hanno risposto, rimanendo sul vago. Forse si aspettavano che, essendo disabile, ho necessariamente miliardi di documenti, o me li devo inventare?». A ogni nostra risposta logica, spiegano le ragazze, «che smantellava i loro argomenti arrivava un'altra obiezione, a cascata, facevano a gara a chi la diceva più grossa: persino rimproveri sul fatto che le schede tecniche delle batterie (che noi abbiamo fatto vedere, ma che non erano obbligatorie) se mostrate dal cellulare non erano valide perché dovevano essere cartacee, o dubbi sulla nostra competenza linguistica in inglese».
«Quando ho detto a un responsabile “questa è discriminazione” - prosegue il post -, lui mi ha risposto “eh no, eh no, non è vero, non chiamarla discriminazione, non è corretto che mi dici così, lo dici per attaccarti a qualcosa. Se dici così me ne posso anche andare”. Sabato tutti davano la responsabilità alla compagnia aerea che, a quanto riferito, sentendo la situazione aveva impedito l’imbarco. Ma il giorno dopo, prenotato un altro volo con un’altra compagnia, è apparso chiaro che l’impedimento veniva (anche) dall’aeroporto». In conclusione, fanno i conti le ragazze, «due voli persi, una notte in hotel, ore di attesa, la testa riempita di stronzate. Siamo state trattate con paternalismo e arroganza, come casi medici, patologizzate, guardate come bestie strane. Ci sono state lanciate motivazioni confuse e contraddittorie, mentre ci facevano pesare il fatto stesso che eravamo lì (“ho altri casi, ho poco tempo, non ci siete solo voi”). Passa il messaggio molto chiaro che se sei disabile tu con il tuo corpo sei un problema, un cliente di serie B a cui puoi dire qualunque cavolata senza conseguenze, con cui puoi giocare a fare i medici e i poliziotti. E questo il livello a cui si arriva con i clienti disabili». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero