Si chiama Samantha Mwesigye, di professione fa l'avvocata a Kampala, in Uganda e – suo malgrado – è diventata il simbolo del #metoo nel suo paese per avere...
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Naturalmente il caso abnorme è esploso in tutta l'Uganda scoperchiando altre realtà fino a quel momento nascoste e, soprattutto, sollevando un polverone senza pari. Alcune associazioni che difendono i diritti delle donne hanno comprato una pagina sul maggiore quotidiano del paese a sostegno di Samantha ma anche per fare capire alla opinione pubblica quali sono le conseguenze dell'abuso di potere.
Da quel momento il caso dell'avvocata Mwesigye ha moltiplicato catene su whatsapp e sui social, con ashtag su Twitter facendo affiorare altri episodi di molestie sul lavoro in una società che resta pesantemente maschilista e sessista, dove il potere è nelle mani degli uomini e dove le donne ai vertici si contano sulle dita di una mano.
Rosebell Kagumire ha spiegato all'Economist che «ogni cambiamento politico è possibile solo se c'è dietro un cambiamento sociale che impolica un diverso modo di percepire le donne da parte degli uomini». Rosebell ha aggiunto che le donne di colore sono doppiamente penalizzate da una società ancora retrograda. Per esempio accade persino che le ambasciate occidentali davanti ad una donna ugandese che chiede un visto per espatriare, includa nei questionari se va all'estero per cercare marito. Una richiesta del genere non sarebbe mai accettata da una donna occidentale che va all'estero per lavoro o per turismo.
In ogni caso il clima in Uganda resta pesante e difficilmente verrà dimenticato quello che accadde tre anni fa, di fronte alla dichiarazione discriminatoria del presidente dell'Uganda che non avrebbe acquistato materiale per le studentesse per mancanza di fondi. Una nota attivista rispose per le rime generando uno scontro aperto. Morale: Stella Nyanzi – una star dei social – fu arrestata e dovette restare in carcere per ben 16 mesi anche perchè, in quel periodo, scrisse per dispetto un poema satirico sulla vagina della mamma del presidente. Nulla di triviale, solo un atto di «maleducazione politica».
Il Messaggero