Pesaro, padellate, calci e pugni in famiglia: moldavo condannato

Il tribunale di Pesaro
PESARO - Lui l’ha presa a calci e pugni e lei ha risposto a padellate in testa. E quello era stato solo il clou degli scontri fisici che ormai andavano avanti da anni....

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PESARO - Lui l’ha presa a calci e pugni e lei ha risposto a padellate in testa. E quello era stato solo il clou degli scontri fisici che ormai andavano avanti da anni. Quella casa era più un ring che un focolare domestico. L’ennesima litigata, nel 2014, era finita al pronto soccorso di Pesaro, dove la coppia scoppiata, due giovani moldavi, 30 e 27 anni, si era presentata per farsi refertare i rispettivi segni sul corpo di manate pesanti e antiaderenti a doppio fondo. Ma una volta fuori dall’ospedale, la donna ha preso la strada verso la Questura invece che quella diretta a casa. E ai poliziotti ha raccontato anni di violenze fisiche e mentali. Violenze di cui, fino a quel momento, non aveva mai voluto parlare. Per paura di lui, di quell’uomo e marito con il quale aveva avuto anche un bimbo. Il caso è finito sul tavolo della Procura e ieri mattina il moldavo (difeso dall’avvocato Michelina Marsili) è stato condannato a 1 anno e mezzo di reclusione per maltrattamenti in famiglia dal giudice Stefano Marinelli, il quale ha accolto le richieste del pm Giovanni Narbone. Ad attendere l’imputato fuori dall’aula c’erano alcuni parenti. Alla loro vista, la donna, che è parte civile nel processo con l’avvocato Luca Giardini, ha cominciato a gridare dicendo che la volevano bastonare. Il suo legale ha ritenuto di dover chiamare alcuni agenti di polizia giudiziaria che sono subito accorsi per calmare gli animi. Sembra che sia stato determinante il racconto di una vicina di casa della coppia che ha detto di aver sentito spesso urlare e litigare. La vicina è arrivata nel 2012. Il giudice ha assolto l’uomo per tutti gli episodi contestati fino al 2012 e condannato per quelli da quell’anno in avanti. E cioè da quando è arrivata la dirimpettaia. I due moldavi si affronteranno anche davanti al giudice civile. 

 
 
 
 
 
 
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Il Messaggero