Covid e le epidemie del passato: anche allora massima attenzione all'economia. Le ricette bizzarre per salvare gli animali

Pamela Stortoni Covid ed epidemie del passato: anche allora massima attenzione all'economia. Le ricette bizzarre per salvare gli animali
Stesse paure collettive, stesse bugie (con dichiarazioni e date falsificate per evitare i controlli e relative condanne dell'epoca), identici rimedi e misure per separare i...

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Stesse paure collettive, stesse bugie (con dichiarazioni e date falsificate per evitare i controlli e relative condanne dell'epoca), identici rimedi e misure per separare i contagiati e un chiodo fisso, l’economia da tutelare a ogni costo. L’Archivio di Stato di Ancona ha aperto le porte di domenica per un viaggio nelle epidemie del passato. Peste, colera e tifo petecchiale, pandemie rilette attraverso le carte storiche che raccontano come furono affrontate da Ancona e dal territorio delle Marche dal XVI al XIX secolo. Documenti di grande attualità dove emergono le tante disposizioni della magistratura anconetana da adottare per evitare l’arrivo e il diffondersi della pandemia. «Nel 1600 compare il tifo petecchiale - spiega Pamela Stortoni, funzionaria dell’Archivio di Stato di Ancona - e da un libro del Consiglio del 1622 vediamo che da un lato viene salvaguardata la salute pubblica, ma si pensa anche a salvaguardare l’economia della città senza generare panico e si dice che i provvisori della sanità debbono agire con la maggiore quiete possibile senza spesa per il pubblico».

 


Nel 1700 diverse malattie colpiscono gli animali: si chiamano peste bovina e anguinaia. «Anche in questo caso i provvisori della sanità emettono degli editti con prescrizioni da adottare per evitare il dilagare dell’epidemia» dice Stortoni. E tra le carte dell’archivio è spuntata una ricetta casalinga per la cura degli animali, di Giuseppe Gattini Manescalco che propone un decotto dove tra gli ingredienti ci sono anche 6 once di millepiedi e 4 once di lingua di cane.

 

 

Infine quando si passa alle due ondate di colera nel 1836 e 1854-55. «E anche qui vediamo che i provvedimenti adottati solo quelli di oggi che prevedono distanziamento sociale e restrizioni e proibizione nel commercio» riferisce Stotorni che con la collega Silvia Caporaletti ha curato questa mostra di straordinaria attualità.

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Il Messaggero