Capitale e ideologia, il nuovo saggio di Piketty, star dell'economia pop

Capitale e ideologia, il nuovo saggio di Piketty, star dell'economia pop
Il nuovo libro di Piketty tocca il ruvido legame fra ideologia ed economia e cerca di spiegare le ragioni della diseguaglianza economica e sociale. ...

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Il nuovo libro di Piketty tocca il ruvido legame fra ideologia ed economia e cerca di spiegare le ragioni della diseguaglianza economica e sociale.


Nel 2014 un saggio di economia di più di 1000 pagine fece una sorprendente comparsa in cima alla classifica del New York Times: Il capitale nel XXI secolo. Trattava dell’ineguaglianza della distribuzione della ricchezza e condensava una poderosa analisi comparativa in una breve ed elegante formula: r>g, dove “r”, che sta per i dividendi sul capitale, rende più di “g”, cioè della crescita economica, asserendo che i capitali tendevano ad autorigenerarsi e ad accentrarsi nelle mani di pochi. Il successo di un libro così tecnico prese molti di sorpresa e trasformò il suo autore, Thomas Piketty, nella prima rock-star economica del mondo con più di due milioni e mezzo di copie vendute.

In queste settimane Piketty torna nelle librerie con un nuovo libro che ne è il prolungamento ideale, Capital et idéologie ("Capitale e ideologia", nella versione italiana pubblicata da La nave di Teseo). Immergendosi nella storia mondiale della diseguaglianza economica, il proposito è “convincere il lettore che, basandosi sulla lezione della storia, è possibile stabilire una norma di giustizia ed eguaglianza per la ripartizione della proprietà”, posizione che riassume un imperativo categorico morale basato su un’ampia base quantitativa di dati, che poi è fondamentalmente l’approccio metodologico di Piketty.

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Da un parte c’è, dunque, quella che alcuni gli rimproverano essere un’ossessione egualitaria che cerca di livellare e spalmare la ricchezza il più possibile, mossa giustificata come distribuzione delle opportunità, ma dimenticando quanto il sistema attuale, profondamente inegualitario, abbia permesso agli uomini più ricchi del mondo di diventarlo senza ereditare il capitale necessario, ma guadagnandolo. Dall’altro c’è la piattaforma di dati comparativi che Piketty raccoglie, talento per il quale è famoso e stimato, che è vasta, precisa e variegata, nonché declinata in diversissimi contesti geografici e socio-economici.

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Questo approccio multidisciplinare dei dati è una sorpresa nell’economia. Piketty traccia un affresco economico del mondo, partendo dall’Ancien Régime francese arrivando ai nostri giorni ma passando per le vicende degli Stati Uniti, il Regno Unito, la Svezia, la Romania e anche l’India e il Brasile, studio per cui l’autore e il suo gruppo di ricerca hanno viaggiato in Asia e America per esaminare gli archivi coloniali. È un libro che cerca una sintesi fra i dati economici e i valori ideologici e sociali del macro-contesto, riportando l’economia nel mondo reale e sottraendola dalla deriva e tentazione statistico-econometrica che l’avevano relegata a una matematica senza volti.

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La domanda di Piketty è: come si è arrivati, storicamente, a questo accentramento di capitale – ed è inevitabile? La risposta breve è che, secondo lui, non lo è: dall’Ancien Régime abbiamo assistito a una trasformazione della rigida struttura sociale contadini-clero-nobiltà in una fusione di queste classi fondata sulla sacralizzazione della proprietà che Piketty chiama “ideologia proprietarista”, un diritto alla proprietà individuale che, sebbene garante dell’ordine sociale, è stato infine abusato. È tutta una questione di ideologia, dunque; tuttavia, al contrario di quello che sosteneva Marx, è questa ideologia la sovrastruttura che genera il modello economico da cui viene poi influenzata. Il comunismo, l’ideologia che più ha contrastato questo principio, è stato alla fine il miglior alleato del capitalismo, e, proprio con la sua sconfitta e i suoi crimini, ha distrutto le illusioni che lo avevano creato.

Per Piketty occorre “sorpassare l’iper-capitalismo di oggi” e rendersi conto che le diseguaglianze non sono naturali ma derivano da un’ideologia. Occorrono ricette brutali: restituire potere ai lavoratori nei consigli aziendali e un’imposta progressiva sulla ricchezza fino al 90%: in Francia raccoglierebbe tanto denaro da distribuire 120,000 euro a ogni cittadino al compimento dei suoi 25 anni, dotando ognuno di un capitale iniziale. Piketty non specifica, deliberatamente, che un approccio così radicale alla tassazione potrebbe avere pesanti controindicazioni nel mondo reale come la disincentivazione all’imprenditorialità, la fuga di capitali e l’evasione fiscale. Oppure sorvola sul fatto che il liberismo, al prezzo di tali diseguaglianze, ha di fatto ridotto drasticamente la povertà.


È il libro più ideologico di Piketty, ed è questo dogmatismo che ne mina la credibilità, includendo anche i lavori precedenti. Un dogmatismo che non scomunica però la verità analitica confermata da un’immensa quantità di dati raccolti, cioè che il mondo sta navigando spedito verso una smodata concentrazione della ricchezza e che l’ultima volta che questo è successo era l’alba della Prima Guerra Mondiale. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero