Torna allo Stato l'impero del clan Mallardo: confische a Fondi, Formia e Minturno

Torna allo Stato l'impero del clan Mallardo: confische a Fondi, Formia e Minturno
LATINA - È andato definitivamente allo Stato l’impero immobiliare sequestrato al clan Mallardo nell’ambito dell’operazione “Bad Brothers”...

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LATINA - È andato definitivamente allo Stato l’impero immobiliare sequestrato al clan Mallardo nell’ambito dell’operazione “Bad Brothers” del 2013 nel quale figura anche un lungo elenco di opere ubicate in provincia di Latina. In queste ore, i finanzieri del comando provinciale di Roma hanno infatti notificato la confisca di sei unità immobiliari site tra via Querce, via Giuseppe Amante, via San Vincenzo e via Madonna delle Grazie a Fondi, di altri cinque stabili tra via Solaro e via dell’Acquedotto romano a Formia e di un immobile a Minturno. Ma non solo perché sono tornate allo Stato anche società e interi edifici dislocati tra Napoli, Bologna e Caserta per un totale di quasi 40 milioni di euro. Tutti i beni, secondo quanto stabilito dalla quarta sezione penale della Corte d’Appello di Roma, sono riconducibili ai fratelli Domenico e Giovanni Dell’Aquila, al figlio di quest’ultimo Vittorio Emanuele e al fiduciario Salvatore Cicatelli (residente a Fondi), tutti appartenenti al clan Mallardo. La confisca, salvo ricorsi in Cassazione, rappresenta l’ultimo capitolo di un percorso giudiziario cominciato nel 2013 quando la Dda di Roma chiese e ottenne il sequestro preventivo di un vero e proprio impero.


“Le complesse indagini di polizia economico-finanziaria, avviate nel 2012 – riporta la nota delle Fiamme Gialle – ha consentito di accertare come la feroce operatività criminale del clan sia stata nel tempo orientata, oltre che al finanziamento del traffico di sostanze stupefacenti, prevalentemente al controllo - realizzato con la partecipazione finanziaria o con la riscossione di quote estorsive - delle attività economiche di rilievo”. Le mani della malavita, insomma, erano arrivate sull’edilizia come sugli appalti, sulle forniture pubbliche come sul commercio all’ingrosso in varie zone d’Italia. In tal senso, emblematica è la definizione accademica del’“impresa camorrista” resa da un noto pentito di camorra secondo il quale il clan Mallardo non imponeva il pizzo estorsivo ma gli esponenti di rilievo di tale organizzazione camorristica entravano di fatto in società con gli imprenditori. “Le attività avevano una parvenza di liceità – conclude la nota della finanza - mentre i camorristi partecipavano direttamente ai guadagni, riuscendo, contestualmente, a reimpiegare i proventi derivanti da altre attività delittuose”.   Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero