Tunisina arrestata per terrorismo, nell'inferno della scala I Janet era solo l'ultima invisibile

Nel negozio non si entra. Il proprietario è chiuso dentro, si avvicina, ti scruta, poi decide che può fidarsi e apre la porta. Poche parole quando scopre che non si...

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Nel negozio non si entra. Il proprietario è chiuso dentro, si avvicina, ti scruta, poi decide che può fidarsi e apre la porta. Poche parole quando scopre che non si tratta di un potenziale cliente «l’avrò vista passare qui davanti, ma non saprei nemmeno descriverla». Il riferimento è a Janet Zouabi, la tunisina di 35 anni che viveva proprio lì, a due passi, al primo piano della famigerata scala “ I”. La donna è accusata di terrorismo, ma come molti che vivono nel complesso di viale Nervi era una “invisibile”.

È il sabato che precede Natale ma c’è poca gente in giro per quella che era stata immaginata come la galleria commerciale del complesso e nella quale sopravvivono poche attività. E c’è timore se un negoziante preferisce chiudersi dentro, mentre fuori gira con fare spavaldo un ragazzo alto e muscoloso con un grande cane senza guinzaglio né museruola. All’ingresso della scala “ I” c’è un divano mezzo rotto e un singolare annuncio scritto in italiano stentato «se il proprietario vuole regalare questo è numero». Esce una signora che dall’accento è originaria dell’est. Non aveva mai visto quella donna tunisina, ripete solo «qui tanti africani, troppi». Ne salgono molti, sembra che al quinto piano abbiamo una sorta di quartier generale. Lì un mese fa, circa, un divano è andato a fuoco e i segni dell’incendio sono ben visibili sul muro tutto annerito e sulle scatole dell’energia elettrica fuse dal calore. Non c’è corrente in un tratto del corridoio, mentre nell’altro sì e a quanto pare serve anche un appartamento che dopo essere stato sequestrato è stato nuovamente occupato, da cittadini originari del Senegal. «Aho zi’ tutto a posto?» - dice un immigrato con fare minaccioso. Tutto a posto, in questo inferno che nasconde vite al limite, spaccio, prostituzione e che aveva dato un rifugio sicuro anche alla donna tunisina.
«Mai vista - dicono padre e figlio, italiani, entrando nel palazzo - qui è meglio fare la propria vita». Anche loro chiosano: «È solo pieno di africani».
Sui muri scritte di ogni genere, sulle cassette della posta i nomi più improbabili, ma sono pochi quelli italiani. Ce n’è uno anche in corrispondenza della cassetta dell’interno 4, quello del primo piano, dove da un paio d’anni viveva la fiancheggiatrice dell’Isis. Eppure nessuno ne sapeva nulla, né c’è il suo nome sul citofono che - neanche a dirlo - è guasto. Come uno degli ascensori. Come molte cose in questa scala tornata a far parlare di sé dopo l’incendio di 8 anni fa, poi le coltellate, quindi le operazioni di polizia fino a quella della serata di giovedì. In quei pochi metri quadrati c’era una vera e propria centrale telematica che invitava alla “guerra santa”.
«Guardi, noi sappiamo solo che ci vive tanta gente ma non abbiamo mai saputo di questa donna tunisina» - raccontano dal parrucchiere proprio di fronte alla scala.


Sono 51 gli appartamenti, pochi i proprietari che ci vivono, meno ancora quelli che affittano regolarmente mono e bilocali che si trovano nel complesso. La maggioranza è composta da chi ha investito su quegli immobili per poi darli in locazione, senza preoccuparsi troppo delle regole. Il condominio? Come non ci fosse. È ora di pranzo, il negoziante esce e chiude a chiave, poi intorno alle maniglie dell’ingresso mette una grossa catena con un lucchetto. La paura si esprime anche così.


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Il Messaggero