Terzo centenario del 2020 a Monte San Biagio: Onorato Biagio Pernarella spegne 100 candeline

Onorato Biagio Pernarella ha compiuto l'11 ottobre 100 anni
Ancora un centenario a Monte San Biagio, comune sempre più vicino a guadagnarsi l'appellativo di paese della longevità al pari delle vicine cittadine di Lenola e...

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Ancora un centenario a Monte San Biagio, comune sempre più vicino a guadagnarsi l'appellativo di paese della longevità al pari delle vicine cittadine di Lenola e Campodimele.

A spegnere ieri 100 candeline il signor Onorato Biagio Pernarella la cui famiglia, data la delicata situazione epidemiologica, ha preferito festeggiare in forma privatissima con la figlia e i familiari più stretti.

Per il neo centenario, il terzo del 2020 nel paese presepe, auguri attraverso il cancello e, come da tradizione, una targa donata dal Comune.

“Al nostro concittadino Onorato Biagio Pernarella – recita l'omaggio consegnato al festeggiato dal sindaco Federico Carnevale e dall'assessore Anna Maria Ferreri – per la lunga vita trascorsa nella comunità e per aver condiviso con tutti conoscenza, esperienza e amore”.

Onorato Biagio Pernarella è nato l'11 ottobre del 1920 a Vallemarina da una famiglia di allevatori analfabeti e, nonostante le enormi difficoltà, si è fatto in quattro per imparare a leggere e scrivere senza trascurare le mille mansioni che gli venivano assegnate; a sei anni frequentava le elementari della frazione (una sola maestra per tre classi) e all'uscita sua madre lo aspettava con una fetta di pane e una piccola mandria di maialini.

Quando la sera rientrava, trovando da solo la via di casa, faceva i compiti al chiarore del fuoco perché, come tanti anziani della contrada ricordano, la luce elettrica sarebbe arrivata soltanto negli anni Sessanta.

Una bella palestra di vita ma non sufficientemente dura per affrontare le difficoltà che la vita aveva in serbo per lui: sarebbero infatti arrivati gli anni della malaria, della guerra e della campagna in Russia.

«Lo mandarono nelle retrovie, in un ospedale da campo – racconta la figlia che ha ascoltato da bambina la storia centinaia di volte – papà imparò a fare le punture, le fasciature e i piccoli gessi ma lo scempio dei corpi martoriati non hanno mai smesso, come lui stesso diceva, di “bucargli il cervello”, così come il freddo, l'umiliazione della sconfitta, la penosa ritirata dall'inverno russo, le lunghe file di soldati mal equipaggiati che affondavano i piedi nella neve per arrivare ad una stazione qualsiasi, prendere un convoglio qualsiasi e raggiungere una città qualsiasi in cui l'alfabeto fosse comprensibile. Quando arrivò a Verona gli chiesero da quanto non mangiava ma lui non lo ricordava nemmeno più».

Da quel momento in poi la vita sarebbe stata in discesa, con una dolce moglie, una figlia che volle far studiare a tutti i costi nonostante la mentalità retrograda dei tempi e i suoi vigneti trai i quali, ancora oggi, ritrova la sua pace dopo le notti insonni.

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Il Messaggero