La moto di Luca Sacchi al circuito del Sagittario di Latina

Luca Sacchi
La moto di Luca Sacchi è tornata in pista. Ed è tornata in pista a Latina. L'ultimo a stare in sella alla Tm Supermotard, guidandola sul circuito del Sagittario...

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La moto di Luca Sacchi è tornata in pista. Ed è tornata in pista a Latina. L'ultimo a stare in sella alla Tm Supermotard, guidandola sul circuito del Sagittario era stato proprio il personal trainer 24enne ucciso la sera tra il 23 e il 24 ottobre davanti al John Cabot Pub in zona Colli Albani a Roma. Un delitto terribile, una giovane vita spezzata.


«Mi ero ripromesso di farlo - ha detto ad Agenzia Nova il padre Alfonso - perché Luca mi chiedeva spesso di andare a vederlo mentre girava ma non ho avuto mai il coraggio di farlo». Alfonso è un appassionato di moto ed è stato lui a trasmettere quella passione al figlio. «Conosco i rischi e ho avuto sempre paura di vederlo cadere».
Mercoledì della scorsa settimana, quindi, Alfonso e Federico, il suo secondogenito di 20 anni che quella terribile sera è stato tra i primi a soccorrere il fratello poi morto e che oggi ha ricostruito quei drammatici momenti nell'aula di Corte d'assise dove si sta svolgendo il processo agli imputati dell'omicidio, hanno caricato la moto sul carrello stradale e l'hanno portata al circuito di Latina dove è tornata a rombare.

«Quindici minuti io e altrettanti mio figlio Federico - ha detto Alfonso - Mentre Federico era in pista mi sono chiesto se Luca ci stesse guardando e se fosse contento di vedere la sua moto in funzione. Quando Federico si è fermato mi ha indicato un foglietto per terra». Era un adesivo, forse parte della marca di qualche componente motociclistico, o semplicemente l'adesivo del nome di qualche altro corridore che si chiama Luca.
«Io l'ho interpretato - dice commosso Alfonso Sacchi - come un segno inviato da mio figlio per rispondere ai miei pensieri. L'ho quindi attaccato sotto al numero stampato sul serbatoio della moto, il 24, come gli anni di Luca e come il giorno in cui è morto». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero