Coma e 73 giorni di ospedale: paziente di Fondi sogna Gesù e guarisce dal covid

Coma e 73 giorni di ospedale: paziente di Fondi sogna Gesù e guarisce dal covid
Un mese di coma, 73 giorni di ospedale, una battaglia estenuante contro il virus e i suoi infiniti postumi: Marco Guglietta, 56enne originario di Lenola ma residente a Fondi,...

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Un mese di coma, 73 giorni di ospedale, una battaglia estenuante contro il virus e i suoi infiniti postumi: Marco Guglietta, 56enne originario di Lenola ma residente a Fondi, è un miracolo vivente.

Ha sconfitto il covid contro ogni aspettativa e, quando sentiva che anche le ultime energie vitali venivano meno, ha trovato conforto in Gesù, la cui immagine gli compariva durante il coma e in sogno nei momenti più difficili.

Marco è tornato a casa giovedì pomeriggio in ambulanza, è sceso sulle sue gambe tra gli applausi e le lacrime di familiari, amici e vicini. «Dai che dobbiamo comprare un altro frantoio» ha sdrammatizzato il figlio immortalando un momento epico per i Guglietta che producono olio extravergine d'oliva dal 1944.



Senza neppure togliersi il camice azzurro con cui era stato dimesso dall'ospedale, Marco ha provato a fare 20 metri di corsa per essere certo di avere ancora la forza, i muscoli, il fiato e lo spirito che lo caratterizzano sin dalla nascita; poi è salito sulla bilancia: oltre al virus ha lasciato al “Santa Maria Goretti” di Latina anche 25 chili.

«Voglio ringraziare tutta l'equipe medica che mi ha salvato la vita – ha detto – sono stati straordinari, hanno fatto l'impossibile e non mi sono mai sentito solo, neppure per un istante. Sono stati tutti grandiosi, dal primario al portantino, l'uno dava le direttive, l'altro passava a salutarmi ogni giorno. Non dimenticherò mai ciò che hanno fatto per me. Infermieri, medici, assistenti: hanno fatto un lavoro ineccepibile, mettendoci l'anima anche quando l'emergenza imperversava in tutti i reparti. I giovani mi hanno trattato come un padre, i più maturi come un fratello, non ce l'avrei mai fatta senza di loro».

Il momento più duro? Non di certo il coma quando Marco Guglietta ha creduto di essere in una clinica specializzata di Roma, un luogo paradisiaco pervaso da serenità e benessere anche se, in effetti, non ha mai lasciato l'ospedale di Latina.

«Quando ad aprile ho riaperto gli occhi dopo quasi un mese – ha confessato – ho ritrovato l'inferno. È stata durissima ma ho di nuovo cercato conforto in Gesù e nella mia famiglia che mi stava aspettando. Ben tre miei compagni di stanza sono deceduti e allora mi è sembrato di non farcela. Poi finalmente ho iniziato a vedere la luce in fondo al tunnel, mi hanno ridato il telefono, seguivo gli aggiornamenti della mia città su Facebook e improvvisamente ho iniziato a sentirmi meglio. Questo grazie anche ai miei figli, mi portavano il nostro olio e io condivo il cibo dell'ospedale di nascosto perché uno come me - scherza Guglietta - il semi di girasole proprio non lo può tollerare». E così i giorni hanno iniziato a trascorrere più velocemente fino all'agognato rientro a casa: un grande terreno, un bel terrazzo e la ritrovata quotidianità.

«Come ho preso il virus? Non ho idea – aggiunge sospirando – la sera di carnevale sono uscito a fare una passeggiata ma non sono stato alla cena e non ricordo di aver incontrato nessuno che poi ha contratto il virus. Il 28 febbraio avevo la febbre e stavo molto male. Il 3 marzo mi avevano già ricoverato e poco dopo sono stato intubato. Non ho avuto neppure il tempo di capire cosa stesse accadendo». Cordone sanitario, lockdown, fase 2, psicosi da contagio: per Marco Guglietta le cronache cittadine degli ultimi due mesi sono una nube di nomi, fatti e persone ancora un po' confusa ma, ora che il peggio sembra essere passato, non ha dubbi su quanto sia importante la prudenza in tutte le fasi della ripresa.


«Il mio non è un appello – chiude il 56enne – è una supplica. Non bisogna mai abbassare la guardia, non auguro a nessuno ciò che ho vissuto io». Marco Guglietta è a casa e sta bene ma, per riprendersi al meglio, ha ancora davanti due mesi di pillole e iniezioni. L'autorevolezza del suo appello, insomma, è sconfinata. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero