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LA STORIA
A Latina tutti lo hanno visto almeno una volta, in piazza del Popolo, mentre suona la chitarra collegata all'amplificatore cantando brani pop e rock. Si chiama Giulio ed è uno dei pochi, pochissimi, artisti di strada del capoluogo, una presenza fissa soprattutto nella piazza principale della città, anche se a volte si può incontrare anche vicino alle vecchie autolinee oppure in piazza San Marco. Chi lo conosce lo descrive come un ragazzo gentile e tranquillo, molto appassionato di musica, tanto da dedicare gran parte del suo tempo alla chitarra. Non in solitudine, nella sua cameretta, ma piuttosto esibendosi davanti alle persone che passeggiano nell'isola pedonale, anche durante la settimana.
Un paio di mesi fa Giulio ha incrociato lo sguardo di un passante, Roberto, anche lui appassionato di chitarra. Tra un pezzo e un altro, si sono scambiati quattro chiacchiere e Roberto gli ha raccontato di avere tantissime chitarre di un certo livello, proprio perché anche lui è appassionato di musica. «Parlando con lui - racconta Roberto - mi sono però reso conto di aver fatto una gaffe, perché lui suonava una chitarra vecchia e un po' malandata, ho capito che era l'unica sua chitarra. Così l'ho salutato e mi sono allontanato consapevole di aver fatto una brutta figura, o quantomeno di non essere stato delicato».
Roberto vive a Roma da molti anni ma torna a Latina spesso, soprattutto per venire a trovare l'anziana mamma e qualche amico di gioventù. «Dopo quell'incontro mi sono ripromesso di fare qualcosa per quel ragazzo che dedica il suo tempo a suonare davanti ai suoi concittadini e così ho deciso di regalargli una chitarra nuova». L'altro giorno si è presentato con una bellissima acustica da collegare all'amplificatore, nuova di zecca ancora imballata e con i colori della città, nero e azzurro. Giulio è rimasto senza parole: «Ma è bellissima, non dovevi, veramente...».
«Voleva offrirmi un caffè - racconta Roberto - per me l'importante è che lui sia contento, non mi interessa comparire. Nella Latina dei miei tempi si faceva così, ci conoscevamo tutti ed eravamo pronti a darci una mano».
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Il Messaggero