Si è presentato in carcere spontaneamente. «Sapeva che sarebbe finita così», dice la gente di Serle, paese in provincia di Brescia dove il 14 dicembre...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
LEGGI ANCHE Brescia, uccise ladro in fuga: rinviato a giudizio per omicidio
E per questo, prima che le forze dell'ordine lo andassero a prendere a casa, si è costituito nel carcere bresciano dove sono presenti soprattutto donne e condannati definitivi. Il colpo di fucile esploso da posizione ravvicinata chiuse quella che per gli inquirenti fu una vera e propria caccia all'uomo durata ore nelle vie del piccolo paese bresciano. «Ha consapevolmente privilegiato il recupero della refurtiva all'integrità fisica della vittima, trascurando l'abissale divario esistente tra valori per loro natura non assimilabili e finendo così con il sopprimere una vita umana», scrissero i giudici della Corte d'assise di Brescia che firmarono la condanna per omicidio volontario.
Tabaccaio uccide ladro, fiaccolata di solidarietà a Ivrea: «Siamo tutti Franco»
Il caso aveva assunto contorni nazionali perché l'intero paese di Serle, che secondo la ricostruzione dell'accusa aveva in qualche modo sostenuto la caccia all'uomo tanto che il padre ed il fratello di Franzoni sono indagati ora per falsa testimonianza, aveva preso le difese del 35enne sostenendo che si era trattato di legittima difesa. «I testimoni - riportano le sentenze di primo e secondo grado - hanno cercato in tutti i modi di celare che si fossero incontrati e intrattenuti al cospetto di un corpo ormai privo di vita e hanno avuto modo e tempo di riflettere sull'accaduto e di elaborare la teoria dell'incidente, poi goffamente veicolata da altri al telefono».
Sente dei rumori in casa e spara pensando siano i ladri: padre uccide la figlia 23enne
La telefonata ai carabinieri, secondo le indagini, sarebbe partita addirittura quasi un'ora dopo la morte del 26enne albanese. Proprio i parenti della vittima nei mesi scorsi avevano avviato la procedura di messa in mora nei confronti dell'imputato. Avevano cioè chiesto di versare il risarcimento previsto dalle sentenze. Mirko Franzoni era stato condannato a riconoscere con una provvisionale immediatamente esecutiva 50mila euro ciascuno in favore dei genitori di Eduard Ndoj e di 25mila euro al fratello della vittima. Un conto complessivo da 125mila euro. Ai quali vanno aggiunti i 9.600 euro di spese processuali che fin qui il bresciano non ha versato. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero