I provvedimenti giudiziari con il «copia e incolla» non piacciono alla Cassazione, che ha bocciato una ordinanza della Corte d'appello di Torino dopo aver preso...
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A sollevare il caso davanti agli 'Ermellinì è stato il difensore di un presunto pusher, Fabio T., 44 anni, torinese: l'avvocato reclamava perché la Corte d'appello, nel 2017, dichiarò «inammissibile» la sua proposta di ridurre al minimo della pena (con sospensione condizionale) una condanna del 2012 per detenzione di una «lieve entità» di sostanze stupefacenti. Il problema è che i giudici piemontesi, secondo il legale, si limitarono a emettere un provvedimento «costituito da un foglio prestampato e compilato solo in alcune parti», senza tener conto degli argomenti difensivi (e neppure del fatto che la colpevolezza dell'imputato non era messa in discussione).
La Cassazione ha dato ragione all'avvocato: la Corte d'appello certificò come «inammissibili» una serie di obiezioni senza però agganciarle «a elementi oggettivi di valutazione correlati alla vicenda». «La motivazione - scrivono i supremi giudici - si sostanzia in un modello prestampato il cui contenuto, con la sola eccezione delle cinque righe conclusive, nella sua quasi totalità è adattabile a una quantità indiscriminata di ipotesi e oltretutto non corrispondente ai motivi d'appello del ricorrente». Tecnicamente si tratta di un atto «ai limiti della nozione di motivazione apparente (e quindi inesistente)». Il provvedimento quindi è stato annullato con rinvio alla Corte d'appello, che ora dovrà riesaminare il caso. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero