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ROMA «Tutti a tavola, ma senza cellulare». A casa, in famiglia, qualcuno in realtà riesce sempre a farla franca: lo smartphone c’è, è ben nascosto, e così all’occorrenza basta poco per mandare messaggi o guardare di sottecchi video e foto degli amici. Difficile, invece, non restare spiazzati se la raccomandazione a scollegarsi è scritta, ben in vista, all’entrata di un ristorante. E a volte persino in fondo all’elenco delle pietanze proposte dallo chef. L’ultimo in ordine di tempo a non ammettere cellulari accesi nel suo locale, è stato un ristoratore di Verona: se il cliente accetta di lasciare lo smartphone in un armadietto personale, in cambio riceverà una bottiglia di vino. Ma non è il primo caso.
Da diversi anni, ormai, e con alterne vicende, ci ha provato più di un ristoratore. Sempre però con dono o incentivo finale, come si fa in fondo quando si ha a che fare con i bambini. E così anni fa in provincia di Livorno per chi accettava di godersi la cena senza distrarsi facendo foto con il cellulare, il premio in palio era un buono sconto. E la proposta, in realtà, pare funzioni ovunque. Non a caso, in molti altri locali, da nord a sud, hanno puntato sullo stesso incentivo: per chi si scollega, saranno distribuiti voucher da utilizzare per la prossima cena. A Roma, invece, c’è chi ha persino proposto di dare in cambio un libro di poesie. Inutile dire che alcuni ristoratori hanno provato a limitare l’uso di internet senza promettere premi o incentivi: e così hanno semplicemente evitato di condividere la password del wifi.
ALL’ESTERO
Il fenomeno della disconnessione nei locali pubblici, all’estero in realtà è diffuso da diversi anni. E non solo per ricreare armonia a tavola, tra i commensali. Da Sidney, a Tokyo a New York, molti ristoratori si sono accorti che lo smartphone rallenta il consumo delle pietanze: i clienti in sostanza perderebbero tempo a fare le foto al piatto e pubblicarle sui social, e così tarderebbero a liberare il tavolo per il prossimo avventore. Difficile dire però se la proposta di questi locali pubblici avrà un seguito, e se la promessa di un incentivo cederà il passo a un vero e proprio divieto. Di sicuro, l’impatto delle nuove tecnologie sta cambiando le abitudini, e il rischio che si possa cadere in una dipendenza, soprattutto tra i giovani, è noto da tempo. «Ormai ci confrontiamo con uno strumento che fa parte della nostra quotidianità, la nostra vita relazionale è sia fisica che digitale – spiega Andrea Volterrani, professore di sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università Tor Vergata di Roma - Il problema, semmai, è la mancanza di buona educazione. Servirebbe qualcuno che ci insegni come usarli in modo corretto, senza disturbare gli altri. E questo vale non solo per gli adolescenti, ma anche per gli adulti: se stai parlando con una persona a tavola, per esempio, non puoi interrompere la conversazione perché ti è arrivato un messaggio sul cellulare. È anche una questione di cortesia. Così come si dovrebbero evitare le telefonate a voce alta, davanti a tutti gli altri commensali. Purtroppo - aggiunge il sociologo - molte persone non si rendono conto di dare fastidio, altre invece non se ne preoccupano affatto. In sostanza, gli smartphone hanno solo amplificato la possibilità di comportarsi senza educazione e cortesia».
IL VALORE DELLA RELAZIONE
Eppure, incentivare buone pratiche potrebbe alla fine dimostrarsi una strategia vincente. «Bisogna sensibilizzare al valore della relazione – suggerisce Rita Biancheri, professoressa di sociologia dei processi culturali e comunicativi dell'Università di Pisa – Ecco perché sono molto favorevole a far scollegare i cellulari, almeno a tavola. Dobbiamo fare in modo di riappropriarci della comunicazione in presenza. E stare attenti ai rischi legati all’uso dei social, soprattutto fra i giovani». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero