Gilberto Guido Cavallini, 67 anni, ex terrorista dei Nuclei Armati Rivoluzionari, è il quarto uomo della Strage alla stazione di Bologna....
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Strage di Bologna, pm chiede l'ergastolo per Cavallini: «Non merita altra pena»
Uno bianca, il caso ripercorso a Rimini da Lucarelli, Mancuso, Veltroni, Paci e Spataro
Già condannato a otto ergastoli per vari delitti, Cavallini è ora in semilibertà a Terni. Difficilmente sconterà la nuova condanna al carcere a vita, quando e se sarà definitiva, visti i 37 anni in detenzione. Ma la sentenza è comunque un tassello in continuità con la verità giudiziaria che vede come responsabili gli altri tre Nar Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, compagni d'armi di Cavallini detto 'il negro', il meno giovane della banda.
«Di quello che non ho fatto non mi posso pentire. Dico anche a nome dei miei compagni di gruppo che non abbiamo da chiedere perdono a nessuno per quanto successo il 2 agosto 1980. Non siamo noi che dobbiamo abbassare gli occhi a Bologna», ha ribadito l'imputato, nelle ultime dichiarazioni spontanee alla Corte, in coerenza con quanto sostenuto dai Nar, che nel tempo hanno ammesso i reati commessi in gioventù, mai l'attentato di Bologna.
Mambro, Fioravanti e Ciavardini hanno avuto modo di riproclamarsi innocenti nel corso di questo lungo dibattimento in cui, come in una sorta di remake giudiziario, sono stati chiamati a testimoniare e come loro tanti altri protagonisti della vicenda, ex militanti, pentiti, conoscenti del gruppo, che hanno rivisitato il contesto intorno al quale sarebbe maturato l'attentato più sanguinario del dopoguerra italiano.
Un'istruttoria ampia, dove c'è stato spazio per una perizia sugli esplosivi che ha portato ad analizzare le macerie della stazione, dimenticate in una caserma della periferia. E per un accertamento genetico che ha visto la riesumazione della bara di una vittima, Maria Fresu, scoprendo che il dna dei resti contenuti nel feretro non era quello della giovane donna morta. È questo un punto su cui ha insistito la difesa Cavallini seminando dubbi e proponendo piste alternative, definendo «inumano» un processo a 40 anni dai fatti. Bisognerà inoltre capire che ragionamento hanno fatto i giudici riqualificando il reato, facendo cadere la finalità di attentare alla sicurezza dello Stato.
La Procura bolognese ha invece proposto una rilettura in coerenza con le sentenze passate in giudicato, concentrandosi sul concorso, cioè sul supporto, quantomeno logistico, che Cavallini diede ai tre, e sottolineando, tra l'altro, l'assenza di un alibi per i Nar.
I familiari delle vittime: «Sentenza rende giustizia»
«La sentenza non cancella gli 85 morti e i 200 feriti, ma rende giustizia a noi familiari delle vittime che abbiamo sempre avuto la costanza di insistere su questi processi». È il primo commento dei familiari delle vittime della strage di Bologna, per voce della vicepresidente Anna Pizzirana, alla sentenza che ha condannato all'ergastolo l'ex Nar Gilberto Cavallini. La difesa Cavallini aveva detto che 40 anni dopo è inumano condannare una persona: «No, non è inumano, perché hanno condannato anche quelli della Shoah dopo 70 anni, non vedo perché debba essere inumano. È una giustizia che viene fatta ai familiari delle vittime, per la nostra perseveranza. E, se le carte processuali lette, rilette esaminate da questa Corte hanno stabilito così è una sentenza corretta», ha detto Pizzirani.Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero