Vulci, scoperta la tomba dei "principi del vino": vasi, anfore, coppe e bronzi intatti da 2600 anni

Team di archeologi al lavoro nella necropoli dell’Osteria, dove è stata aperta una camera sepolcrale inviolata con vestibolo e corridoio di tipo aristocratico

Un riposo inviolato per oltre 2600 anni. La mano avida dei tombaroli l'ha solo sfiorata, ma il suo ricco corredo è rimasto intatto. Quello di una tomba a camera, di...

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Un riposo inviolato per oltre 2600 anni. La mano avida dei tombaroli l'ha solo sfiorata, ma il suo ricco corredo è rimasto intatto. Quello di una tomba a camera, di vaste proporzioni, ipogea, scavata nei blocchi di tufo, risalente al VII secolo a.C. Una ricchezza dei manufatti che fa pensare alla sepoltura di una famiglia aristocratica, assai illustre. Legata anche al commercio del vino. Una sorpresa emozionante regalata ancora una volta dalla Necropoli dell'Osteria dell'antica città etrusca di Vulci, nell'area di Montalto di Castro. Qui il team di archeologi guidato da Carlo Casi, direttore della Fondazione Vulci, insieme a Simona Carosi, responsabile dell'area per la Soprintendenza, ha intercettato e aperto dopo millenni una nuova tomba, la cosiddetta Tomba 58, a doppia camera. «Peculiare per ricchezze e per tipologia architettonica», spiega Carlo Casi, che sta riportando alla luce da mesi rare testimonianze di un mondo sotterraneo dedicato ai defunti presso l’ingresso della grande potente ricca città etrusca, fiera e nobile antagonista di Roma. Non a caso il secondo re di Roma Servio Tullio era di origini vulcenti. 

IL VINO DELL'ISOLA GRECA DI CHIO

L'ambiente sotterraneo ha regalato fior di emozioni, soprattutto per l'articolazione degli spazi architettonici e la ricchezza dei corredi. «La camera cosiddetta A, intatta, ha restituito anfore da trasporto etrusche, olle e pithoi in impasto, vasi in bucchero e in ceramica etrusco-corinzia, oltre a manufatti in bronzo, come un calderone - racconta l'archeologo - È stata inoltre notata la presenza di chiodi in ferro sulle pareti, anticamente utilizzati per appendere festoni o piccoli oggetti». La seconda camera, detta B, saccheggiata in antico, ha evidenziato la presenza di «due anfore da trasporto della Grecia dell'est, ceramiche ioniche, corinze ed etrusco-corinzie, oltre a buccheri e impasti locali. Da rilevare la presenza di un tripod-bowl e oggetti in ferro». Dettagli non da poco. Le anfore sono una testimonianza preziosissima perché documentano ora «l’importanza del commercio del vino». «Pensare che le due anfore della camera B provengono con tutta probabilità dall’isola greca di Chio e sono arrivate a Vulci per portare il vino fin da lì; invece nella A spiccano ben 4 anfore etrusche da trasporto per il vino locale», evidenzia Carlo Casi.

L'ARCHITETTURA SONTUOSA

Particolare l’architettura della tomba: «Appare caratterizzata da un setto risparmiato nella roccia che crea un arco di passaggio tra il dromos, ossia il corridoio breve con degli scalini, e il vestibolo, da cui si accedeva alle due camere, quella frontale e quella di sinjstra: manca quella, consueta, di destra, evidentemente perché lo spazio era già stato occupato da altre tombe». La suggestione dell'apertura della porta per la prima volta dopo 2600 anni è potente. Le lastre di tufo spesse come macigni, pesanti decine di chili l’una, vengono rimosse e issate dagli archeologi. Un’operazione complicata, sotto gli occhi di Carlo Casi che dirige il cantiere. Si resta quasi col fiato sospeso fino a che non si spalanca l'ambiente ipogeo davanti agli occhi degli studiosi. La tomba è databile alla fine del VII secolo avanti Cristo, quando la città di Vulci aveva raggiunto il suo massimo splendore. Il momento più fulgido della città per i commerci con le rotte del Mediterraneo. 

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Il Messaggero