Magico è il mondo del volo, per chi in dote ha ricevuto il destino, e il privilegio, di amarlo. E, tra le pieghe di Roma, è custodito uno spicchio di cielo denso di...
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È una gioia bambina. «Siamo come una famiglia. Il club è nato nel 2009. Ormai ci conoscono bene anche i piloti. Abbiamo un gruppo su WhatsApp e ci organizziamo: chi può va a Fiumicino e scatta. C’è grande amicizia tra di noi», ci racconta entusiasta Fabio Sorce, commercialista, il presidente del Roma Spotters Club, una pagina Instagram da 12 mila follower – quella del club ne conta circa ottomila.
Gli spotter, va detto, detengono un sapere che tocca una profondità quasi mistica. Degli aerei conoscono la storia, i dettagli, i nomi, i soprannomi, le livree speciali e le matricole. Sanno riconoscere il tipo dal rumore, ché dalla forma delle ali o della coda son bravi tutti. È un sentire quasi paterno. L’incontro di occhio e orecchio con il profilo e il frastuono di un aereo suscita in loro sempre un’emozione nuova. È un lungo corteggiamento, a pensarci. Mai come in questo caso l’attesa del piacere è il piacere. Eccolo allora, forse, il segreto del loro amore: trovare il nuovo nel già visto.
Equipaggiati di macchine fotografiche e teleobiettivi da professionisti, gli spotter romani si sistemano lungo un rosario di luoghi cercati, scoperti e curati nel tempo, intorno al perimetro dell’aeroporto Leonardo da Vinci. Alcuni punti sono noti; altri sono coperti dalla riservatezza più cieca (segreti d’amore...). Indagando un po’, però, si scopre che da viale Coccia di Morto si possono scorgere i decolli, anche se gli aerei lì volano già alti. La posizione migliore sarebbe allora in via delle Idrovore di Fiumicino, dove gli intercontinentali attraversano la strada a 130 metri dalle auto.
Sacerdoti di un rito invisibile – un clic nelle onde di frastuono di un jet – gli spotter sentono ogni volta il richiamo del proprio diletto. L’epidemia del coronavirus non li ha fermati, ma ora pochi aerei volano. Prima del Covid, invece, le giornate erano punteggiate di appuntamenti da farfalle nello stomaco. La mattinata era scandita dagli arrivi dagli Stati Uniti: intorno alle 6 atterrava il primo Alitalia da New York. Nel pomeriggio, invece, la scena la occupavano gli arrivi dall’Asia.
E ancora, ogni giorno, schiere di appassionati puntano gli obbiettivi e sperano che nel gesto della ripetizione cada la rarità di un evento: un atterraggio rinviato all’ultimo, un colpo di vento, insomma un particolare che incrini la normalità e renda irripetibile l’immagine. «Ma l’emozione più grande l’abbiamo vissuta nel marzo del 2014, quando per una serie di coincidenze abbiamo fotografato l’Air Force One di Obama da pochi decine di metri», ricorda Sorce. Ciascuno, poi, ha la propria predilezione: l’istante in cui l’aereo si posa e il carrello dipinge nuvole di fumo, l’odore del cherosene, il disegno di una livrea o il rumore dei motori in avvicinamento, d’estate, a coprire il frinire delle cicale. Macchiato dalla luce dell’alba o del tramonto, l’aereo in fondo acquista nella fotografia una nota poetica, e vagamente artistica. E allo scatto non è mai estranea la vocazione a una certa idea di bellezza.
Il Messaggero