Padova, sequestrato in Mali, Luca Tacchetto riabbraccia il padre

Padova, sequestrato in Mali, Luca Tacchetto riabbraccia il padre
L’emozione alla fine di un incubo durato 15 mesi. «Le prime cose che ci siamo detti? Non abbiamo avuto bisogno di dirci nulla, avevamo pianto tutte le nostre lacrime...

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L’emozione alla fine di un incubo durato 15 mesi. «Le prime cose che ci siamo detti? Non abbiamo avuto bisogno di dirci nulla, avevamo pianto tutte le nostre lacrime prima di vederci, ci ha raccontato molte cose Luca, ce le teniamo strette». Nunzio Tacchetto, padre di Luca, l'architetto 31enne appena rientrato a casa dopo un sequestro durato 15 mesi in Mali, è stanco e finalmente felice. Stamattina, dopo un lungo silenzio, davanti alla sua casa di Vigonza ha commentato il rientro del figlio: «Deve riposare adesso, è frastornato, sta capendo adesso tutto quello che sta succedendo a causa del Coronavirus, sono stati 15 mesi lunghi e dolorosi». «Ringrazio tutti - ha proseguito Nunzio Tacchetto -, ringrazio la Farnesina che ci ha sostenuti dall'inizio fino all'ultima telefonata, quella più attesa della liberazione. Ora ricominciamo una nuova vita, più uniti di prima». La famiglia, però, non è ancora riunita: la madre di Luca si trova in Australia dall'altro figlio, Tommaso, che ha avuto un problema di salute. «Intanto però è tornata mia figlia più piccola dalla Francia - ha concluso Tacchetto - stiamo cercando di riunirci tutti, Coronavirus permettendo».


Luca Tacchetto e la fidanzata Edith atterrati a Ciampino: sono riusciti a fuggire, erano stati rapiti 15 mesi fa

«Siamo stati trattati bene. Non ci hanno mai minacciato con le armi, mangiavamo tutti i giorni anche se poco». È il racconto che Luca Tacchetto, sequestrato il 16 dicembre 2018 in Burkina Faso assieme alla compagna canadese Edith Blais. liberato dopo 15 mesi di prigionia, ha fatto ai pm di Roma e ai carabinieri del Ros che lo hanno ascoltato. «Il sequestro è stato fatto da un gruppo che si è autodefinito jihadista vicino ad Al Qaeda. Per come ci hanno trattati credo fosse un gruppo esperto, abituato a gestire situazioni del genere», ha proseguito. E ancora: «I nostri carcerieri ci hanno detto qualche giorno fa che in Italia c'erano dei problemi senza specificare che si trattava del coronavirus». Il giovane ha aggiunto di essere stato rapito «poco lontano del Parco Nazionale 'W' che si trova tra il Burkina Faso, Benin e il Togo». A bloccarci, ha detto ancora, «un gruppo di sei mujaheddin: abbiamo camminato per settimane, anche a bordo di auto, moto e di una piroga. Siamo stati portati, nel gennaio dell'anno scorso nell'area desertica del Mali dove siamo rimasti per tutto il tempo del sequestro». Per un periodo «io e la mia fidanzata siamo stati divisi, poi però quando lei ha cominciato a stare male ci hanno riuniti». Ogni tanto «effettuavamo dei trasferimenti ma restando sempre nella stessa area», ha spiegato.

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Il Messaggero