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La natalità in Italia continua a diminuire, ma a un ritmo ancora più veloce di quello degli anni scorsi. La popolazione complessiva è rimasta sostanzialmente stabile nel corso del 2023 grazie a più robusti flussi migratori, con squilibri che restano però evidenti tra le diverse aree del Paese: il Nord guadagna residenti, mentre il Mezzogiorno e le aree interne sperimentano una contrazione ormai costante. Anche se il Sud, dopo venti anni, torna ad avere un tasso di fecondità superiore a quello del Centro-nord. Il rapporto Istat sugli indicatori demografici relativi allo scorso anno conferma alcune tendenze consolidate e contemporaneamente sancisce l’uscita definitiva dall’era del Covid, con il numero dei decessi che si attesta in prossimità dei livelli pre-pandemici. La speranza di vita alla nascita fa quindi un balzo di circa sei mesi, portandosi a livello nazionale a 81,1 anni per gli uomini e a 85,2 per le donne. Con differenze territoriali che tuttavia sono significative: tra Trentino Alto-Adige e Campania il divario di longevità è di 2,9 anni a sfavore della Regione meridionale. Una distanza che si è addirittura amplificata nel corso degli anni.
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Intensità doppia
Che nascano sempre meno bambini non è certo una novità: il dato 2023 - ricorda l’istituto di statistica - rappresenta l’undicesimo record negativo consecutivo dal 2013. Ma i 379 mila neonati venuti al mondo sono circa quattordicimila in meno rispetto a quelli dell’anno precedente, con un calo che è di intensità all’incirca doppia (-3,6 per cento). Rispetto ai 577 mila bebè del 2008, anno di relativo picco della natalità nel corso di questo secolo, se ne sono persi quasi 200 mila. Siamo a poco più di sei nati ogni mille abitanti.
C’è però un elemento che va guardato con particolare attenzione: si tratta del tasso di fecondità totale, noto anche come numero medio di figli per donna, sceso all’1,20 dall’1,24 del 2022. Questo fattore si affianca così in modo vistoso all’altro che negli ultimi anni ha contribuito al calo delle nascite, ovvero la riduzione dei potenziali genitori per effetto degli andamenti demografici degli anni Ottanta e Novanta; bisogna tornare indietro proprio al 1995 per trovare un numero medio di figli per donna più basso (1,19). Il declino della natalità riguarda sia i cittadini italiani che quelli stranieri: gli immigrati hanno ancora tassi di fecondità più alti che però si stanno gradualmente riducendo, convergendo verso quello degli altri residenti.
La Regione con il numero medio di figli per donna relativamente più alto resta il Trentino-Alto Adige (1,42), che comunque evidenzia una non trascurabile contrazione. In fondo alla classifica resta la Sardegna con il suo desolante 0,91. Complessivamente però, dopo venti anni, il Mezzogiorno torna ad avere una fecondità superiore a quella del Centro-Nord. L’Istat rileva poi un altro dato evidentemente connesso ai precedenti: continua a spostarsi in avanti l’età media al parto, che sale a 32 anni e mezzo.
Come accennato, il numero totale dei residenti a inizio 2024 si attesta appena al di sotto dei 59 milioni.
Il superamento
Il ben noto fenomeno dell’invecchiamento - che fortunatamente nel 2023 è stato amplificato dal calo della mortalità - interessa invece più o meno tutta l’Italia, anche se con intensità diverse. L’età media della popolazione residente sale a 46,6 anni (tre mesi in più rispetto a gennaio 2023). Gli ultraottantenni sono oltre 4,5 milioni e superano per la prima volta il numero dei bambini di età inferiore a 10 anni.
Per capire come il Paese sia cambiato basta ricordare che questo rapporto ora vicino alla parità era di 2,5 a 1 venticinque anni fa e di 9 a 1 cinquanta anni fa. Si riduce pure la popolazione in età attiva, la potenziale forza lavoro del Paese: gli italiani compresi tra i 15 e i 64 anni sono ora meno di 37,5 milioni. E fa segnare un nuovo primato anche il numero degli ultracentenari: all’inizio dell’anno erano circa 22.500, con un incremento di ben 2 mila unità rispetto all’anno precedente.
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Il Messaggero