Muore travolto da un'auto Marcello Musso, il «pm contadino»

Muore travolto da un'auto Marcello Musso, il «pm contadino»
MILANO La porta del suo ufficio al quarto pieno del palazzo di giustizia è tappezzata di post-it gialli, sui quali in bella calligrafia aveva scritto un messaggio per ogni...

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MILANO La porta del suo ufficio al quarto pieno del palazzo di giustizia è tappezzata di post-it gialli, sui quali in bella calligrafia aveva scritto un messaggio per ogni evenienza che appiccicava all’esterno: «Sono in udienza», «Sono all’aula bunker». Sempre reperibile, sempre al lavoro. E lui che non andava mai in vacanza, è morto proprio in uno dei pochi giorni liberi che si concedeva per andare a trovare l’anziana madre in Piemonte. Marcello Musso, 67 anni, pm titolare dell’inchiesta sulle aggressioni con l’acido che si è conclusa con la condanna di Martina Levato e Alexander Boettcher, è stato travolto da un’auto a trenta metri da casa, sulla strada tra Agliano e Costigliole. Inutili i soccorsi del 118 e dell’elisoccorso: il magistrato ha perso la vita per le gravissime lesioni riportate nell’incidente. È stato lo stesso investitore, risultato poi negativo all’alcoltest, a chiamare i soccorritori.


BADILE IN MANO
Musso ha fatto parte per anni della Dda di Milano, occupandosi anche del processo su alcuni omicidi di mafia che vedevano imputato Totò Riina. Piemontese doc, originario di Asti, aveva un aspetto umile e dimesso ma era un uomo di sostanza. Amava definirsi «contadino nell’anima» e in una delle sue rare foto pubbliche impugna un badile e scava nella terra. Era marzo 2015, durante il sopralluogo nelle campagne a sud est di Milano, per la precisione a Viboldone, stava cercando un martello che secondo l’accusa sarebbe stato usato da Andrea Magnani, uno dei giovani indagati per le aggressioni con l’acido. Il pm aveva chiesto che gli agenti della polizia scientifica portassero un metal detector, ma non ha avuto la pazienza di attendere e spinto dalla sua foga investigativa ha afferrato il badile e l’ha affondato nelle zolle. Non era annoverato tra i magistrati antimafia, ma pochi come lui si sono battuti contro la criminalità organizzata al punto da divenire un vero nemico per le cosche. Quando era in Sicilia ha affrontato il clan dei corleonesi, poi ha Milano ha proseguito il suo lavoro sostenendo l’accusa contro il capo dei capi, Totò Riina, e facendolo condannare all’ergastolo. Sue le grandi inchieste come «Pavone», sul traffico di droga tra Quarto Oggiaro, la Brianza e Mariano Comense, e il processo contro Martina Levato e Alexander Boettcher.

SCARPETTE PER ACHILLE

La sua severità di magistrato era compensata da gesti amorevoli. Quando è nato il figlio di Martina, Musso ha portato alla Mangiagalli un pacchetto per il piccolo Achille: un paio di scarpette e un biglietto in cui ha scritto «con infinita tenerezza per un lungo cammino». Per la sua intransigenza, tuttavia, era diventato bersaglio della ‘ndrangheta, è stato pedinato e minacciato. «Ti immischi anche nel bambino. Rippeti che sei orgoglioso delle discrazie degli altri ma attento. Acido ce n’è anche per te», è il messaggio anonimo che ha ricevuto dopo la visita al bimbo di Martina Levato, condannata definitivamente a 19 anni e 6 mesi, mentre Alexander Boettcher deve scontare 21 anni. «È scomparso un pm con la schiena dritta. Una persona perbene, un grande lavoratore, un vero servitore dello stato, un avversario leale e molto preparato. Lo ricordo con grande affetto», lo ricorda l’avvocato anconetano Michele Andreano, ex legale di Boettcher. «Solo pochi mesi fa mi ha salutato per primo nel corso di una udienza alle misure di prevenzione. Apprendo la notizia e resto sconvolto. Ci mancherà, Dottore».
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Il Messaggero