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LE MOTIVAZIONI
La difesa aveva puntato tutto sul fatto che l'uomo avesse usato la mano sinistra pur essendo destrorso e che la donna non presentasse ferite, ma la Corte ha concluso: «La scarsa entità (o anche l'inesistenza) delle lesioni provocate alla persona offesa non sono circostanze idonee ad escludere di per sé l'intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell'agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa, ovvero, come nella specie, all'intervento di un terzo». Argomentazioni con le quali i giudici della Corte d'Appello avevano motivato la sentenza di secondo e che per gli ermellini sono «assolutamente adeguate e congrue, tali che le censure difensive non riescono a disarticolare». Era stato infatti il figlio minore della coppia ad intervenire in soccorso della madre prendendo per le braccia il padre e interrompendo l'aggressione.
Così la Cassazione sottolinea: «La Corte territoriale al fine di ritenere integrati i presupposti del delitto di tentato omicidio ha evidenziato come le modalità dell'azione, ed in particolare la veemenza della condotta, la forza esercitata sulla vittima, nonché la circostanza che l'aggressione era stata interrotta solo dall'intervento del figlio minore, sopraggiunto in aiuto della madre, evidenziassero sia l'idoneità della condotta del ricorrente a cagionare la morte della moglie, sia la sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto di omicidio, quantomeno nella forma del dolo alternativo».
LE FERITE
La donna, subito dopo l'aggressione, aveva accusato un temporaneo offuscamento della vista e la momentanea perdita di conoscenza, e i giudici di secondo grado, sulla base di una perizia, avevano concluso che «il collo è sede di organi vitali e che la loro compromissione può determinare gravi conseguenze, che da un iniziale venir meno della coscienza - come avvenuto nella specie - possono condurre alla morte».
LA VICENDA
L'aggressione si è consumata in provincia di Brescia. La donna aveva chiesto l'intervento dei carabinieri, accusando il marito di avere tentato di strangolarla. Durante le indagini, le dichiarazioni della vittima erano state confermate dal figlio minore, che le aveva poi ripetute in sede di incidente probatorio. Il ragazzino aveva detto di essere intervenuto in aiuto della madre. L'uomo l'aveva spinta contro il muro e, esercitando una pressione crescente, l'aveva sollevata da terra, provocandone l'offuscamento della vista e una momentanea perdita di conoscenza. Il figlio aveva afferrato le braccia del padre e lo aveva indotto a lasciare la presa. Dal referto del pronto soccorso risultava che la vittima presentasse in regione laterocervicale quattro piccole ecchimosi (cinque centimetri per uno). La difesa aveva rilevato che, benché l'area interessata dalle ecchimosi fosse costituita dal collo, tuttavia le lesioni non avessero interessato la regione cervicale, né quella carotidea e laringea, ma unicamente la regione destra del collo. Questo per il legale avrebbe dimostrato «l'inidoneità dell'azione a provocare la morte». Anche il fatto che la presa fosse avvenuta con la mano sinistra da parte di soggetto destrorso non dotato di particolare muscolatura, secondo i legali, dimostrava la scarsa carica lesiva dell'azione e dunque «la mera volontà dell'imputato di ledere». Argomenti che non hanno convinto la Corte che ha confermato la pena e condannato l'imputato anche a pagare le spese legali.Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero