Riti voodoo, sette segrete dalla struttura militare e dalla «inaudita ferocia» che sfruttavano donne vittime di tratta e mendicanti per arricchirsi, tra pestaggi e...
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Lo sfruttamento della prostituzione era la loro principale attività di arricchimento, il primo anello della catena della loro regola criminale, quella delle 'tre d', donne-denaro-droga, con le donne costrette a sottomettersi con violenza fisica e psicologica, in quanto considerate «oggetti fabbricasoldi», «ceto inferiore buono solo a soddisfare le esigenze sessuali della comunità maschile - spiegano gli inquirenti - e a produrre denaro». I due anni di indagini della Squadra Mobile di Bari, coordinate dalle pm Simona Filoni e Lidia Giorgio, hanno documentato «squallide vicende di sfruttamento», scoperte grazie alle denunce di molte delle vittime e rituali violenti per il reclutamento degli adepti. Nella primavera 2017 la Polizia ricevette anche una lettera da alcuni cittadini nigeriani ospiti del Cara, tra i quali il pastore spirituale del Centro, contenente una richiesta di aiuto. «Imploriamo il governo italiano di proteggerci - scrivevano - perché non eravamo al sicuro in Nigeria, per questo siamo scappati, e ora in questo centro non siamo al sicuro a causa di queste sette».
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La Procura ha invitato a «non strumentalizzare questa vicenda», perché se da un lato ci sono criminali che hanno commesso reati e che vanno perseguiti indipendentemente dal colore, dalla razza o dal Paese di provenienza, dall'altro ci sono tanti loro connazionali che sono invece vittime e che hanno collaborato con la giustizia. La forza di assoggettamento e intimidazione dei due gruppi criminali era tale che persino le 'maman' nigeriane che operavano a livello locale erano totalmente asservite alle loro richieste relative alla necessità di piazzare ragazze in strada per farle prostituire. Stessa violenza era riservata ai mendicanti, costretti a pagare il pizzo sull'elemosina per garantirsi una postazione davanti ai supermercati di Bari e provincia.
A conferma del clima di terrore diffuso nella comunità nigeriana barese, gli interpreti incaricati dalla Procura di Bari delle traduzione dei dialetti usati dagli indagati per comunicare, hanno accettato solo a condizione che negli atti i loro nomi fossero omessi, per paura di ritorsioni.
Il Messaggero