Omicidio Lidia Macchi, a Stefano Binda 303 mila euro per «ingiusta detenzione»

Omicidio Lidia Macchi, a Stefano Binda 303 mila euro per «ingiusta detenzione»
Indennizzo di oltre 303 mila euro per «ingiusta detenzione» a Stefano Binda, il 53enne assolto nel gennaio 2021 in via definitiva dall’accusa di avere...

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Indennizzo di oltre 303 mila euro per «ingiusta detenzione» a Stefano Binda, il 53enne assolto nel gennaio 2021 in via definitiva dall’accusa di avere ucciso Lidia Macchi. La studentessa ventunenne venne massacrata con 29 coltellate in un bosco a Cittiglio, in provincia di Varese. Era il 1987, il suo assassino non è stato mai trovato.

Omicidio Lidia Macchi, i giudici: «È stato un amico a massacrarla»


L’ASSOLUZIONE

Binda, accusato dell’omicidio della ragazza, è stato arrestato nel gennaio 2016 e condannato all'ergastolo a Varese il 24 aprile 2018, ma la Corte dAssise d’Appello di Milano il 24 luglio 2019 ha ribaltato il verdetto, lo ha assolto e ne ha disposto la scarcerazione. I giudici hanno smontato le tesi dell’accusa, a cominciare da quella che la Procura riteneva la prova regina a suo carico: la poesia “In morte di un’amica”, spedita il giorno stesso del funerale alla famiglia Macchi. Otto strofe con riferimenti religiosi, con versi sulla purificazione e nei quali si parla di “agnello sacrificale” che sono state interpretate come una confessione. Patrizia Bianchi, amica del cuore di Binda, vede pubblicati i versi e nota somiglianze con la grafia su quattro cartoline ricevute molti anni prima da Stefano. La consulenza grafologica conferma che si tratta della stessa mano, la perizia affidata ai Ris conclude che il foglio su cui è vergata la poesia proviene da un quaderno ad anelli sequetrato a casa di Binda. Questa prova però regge solo in primo grado: per la Corte d’Assise d’Appello non vi è alcuna certezza che sia stata scritta dall’assassino di Lidia e tanto meno dall’imputato.

«LO STATO HA SBAGLIATO»

L'inchiesta, avocata dalla Procura generale di Milano, culmina con l’arresto di Binda, ma il 24 luglio 2019 l’uomo viene scarcerato in seguito all'assoluzione in secondo grado poi confermata dalla Cassazione. Oggi la quinta Corte d'Appello ha depositato l'ordinanza riconoscendo l'ingiusta detenzione e liquidando «immediatamente 303.277,38 euro a titolo di indennizzo». Per i tre anni e mezzo in cella, durante l’udienza dello scorso maggio, Binda aveva chiesto oltre 350 mila euro. «Lo Stato deve riconoscere di avere sbagliato - ha detto - Qui non è solo in discussione il risarcimento per i danni che ho subito, anche economici, ma l'ammissione dell'errore nei miei confronti».

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Il Messaggero