Dipendente demansionato con sindrome ansiosa depressiva, datore di lavoro condannato per straining: cosa è

Il giudice ha riconosciuto al lavoratore di Belluno anche 56mila euro a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale

Dipendente demansionato con sindrome ansiosa depressiva, datore di lavoro condannato per straining: cosa è
Ha subìto una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, il cosiddetto “straining”, concretizzatosi in comportamenti intimidatori e vessatori...

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Ha subìto una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, il cosiddetto “straining”, concretizzatosi in comportamenti intimidatori e vessatori da parte dei superiori, che lo hanno progressivamente demansionato per poi lasciarlo di fatto senza alcun incarico, provocandogli una sindrome ansiosa depressiva.

 

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Straining, di cosa si tratta


Un impiegato in servizio dal 2010 all’Istituto studi militari marittimi (Maristudi) di Venezia si è rivolto al Tribunale di Venezia ottenendo la condanna del ministero della Difesa al pagamento di oltre 56 mila euro a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, oltre a 10 mila euro di spese di lite. Il ministero dovrà versare al dipendente anche le somme relative alle ore di straordinario da lui prestate e che non gli furono retribuite con motivazioni pretestuose. La sentenza, firmata dalla giudice Chiara Coppetta Calzavara, ha accolto le richieste formulate dai legali dell’impiegato, gli avvocati Paolo Emilio Rossi e Fabio Casertano.

 

 

PIÙ INCARICHI E MENO LIBERTÀ
L’uomo, oggi cinquantenne, nato a Belluno e residente a Nervesa della Battaglia, fu assunto a Maristudi nel 2010, dopo aver vinto un concorso per operatore amministrativo. Nel ricorso presentato al Tribunale l’uomo riferisce che fino al 2013 la sua attività si svolse serenamente e senza criticità, tanto da ricevere un elogio e un elevato punteggio di performance. Con l’arrivo di un nuovo direttore di settore la situazione cambiò radicalmente: a seguito dell’introduzione di un nuovo software operativo, aumentarono i carichi di lavoro e l’impegno richiesto al dipendente, il quale fu costretto a svolgere numerose ore di straordinario che non gli furono retribuite. Da quel momento il dipendente fu costretto ad assentarsi per alcuni periodi di malattia, a causa di uno stato ansioso-depressivo, e iniziarono gli atteggiamenti vessatori da parte dei superiori, che gli rifiutarono l’orario flessibile e gli revocarono la possibilità di rinunciare alla pausa di riposo di mezz’ora che gli consentiva di uscire prima per rientrare più comodamente a casa, nel Trevigiano. 

 

QUALIFICA REVOCATA


Per giustificare il mancato pagamento degli straordinari gli fu revocata anche la qualifica di videoterminalista (nonostante il suo lavoro fosse prevalentemente al terminale) e quindi fu avviata una procedura per arrivare al suo licenziamento chiedendo per lui una visita medica che però si concluse, contrariamente alle attese, con una dichiarazione di idoneità. Dopo 5 anni di soprusi e di un progressivo isolamento, il dipendente si è rivolto al giudice. Il ministero della Difesa potrà impugnare la sentenza in appello. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero