Insultare sui social si può, la Procura: «Non è reato ma un modo di sfogarsi»

Insultare sui social si può, la Procura: «Non è reato ma un modo di sfogarsi» `
Haters e leoni da tastiera possono dormire sonni tranquilli. Per la procura di Roma insultare e denigrare sui social non sarebbe un reato, ma potrebbe essere, semplicemente, un...

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Haters e leoni da tastiera possono dormire sonni tranquilli. Per la procura di Roma insultare e denigrare sui social non sarebbe un reato, ma potrebbe essere, semplicemente, un modo, magari maleducato, per scaricare lo stress dopo una giornata pesante: «Spesso la diffusione sui social di frasi denigratorie costituisce un modo efficace di sfogare la propria rabbia e frustrazione a seguito di fatti o condotte che colpiscono particolarmente un soggetto che ha necessità immediata di esternare il proprio pensiero». È scritto nella richiesta di archiviazione per un caso di diffamazione online: un'amicizia finita male e culminata in una valanga di insulti e lettere aperte pubblicate sul web.


A sporgere denuncia, una ragazza romana che ha raccontato di essere stata ripetutamente insultata via social. Un amico l'ha definita nei post «una bipolare che si imbottisce di psicofarmaci» e ha descritto il padre di lei come un ubriaco che maltratta la figlia. «C'è una persona che è passata dal trattarmi come se fossi più di un fratello a minacciarmi», ha scritto l'uomo a febbraio. Poi, ha rincarato la dose: «Una malata mentale, una bipolare che sta pure in cura».

Ha quindi continuato a descrivere il padre di lei come un «cocainomane, alcolizzato», si legge ancora nella denuncia. Il 19 marzo, ha postato una lunga lettera aperta indirizzata alla madre della ragazza: «Questa è una storia inventata, che parla di personaggi inventati», ha scritto, fornendo però dettagli riconducibili all'amica: «La colpa dei malesseri di tua figlia non è mia, ma tua e di suo padre, l'avete trascurata e maltrattata». Post di questo tenore si sono susseguiti per settimane. Finché la ragazza ha deciso di denunciare.

Tredici giorni dopo è arrivata la richiesta di archiviazione della Procura: la notizia di reato è «infondata», perché «quanto scritto su Fb non ha portata diffamatoria agli occhi di terzi». Una valutazione legittima, che rientra nella discrezionalità del magistrato. Ma sono le motivazioni ad essere singolari: «Sui social accede un numero illimitato di persone, appartenenti a tutte le classi sociali e livelli culturali che scrivono qualsiasi commento, pensiero, critica, utilizzando anche termini scurrili e denigratori che, in astratto, possono integrare il reato, ma che, in concreto, sono privi di offensività».

LA MOTIVAZIONE

Questo perché, secondo i pm, «il contesto dei social in generale, frequentato dai soggetti più disparati, che esternano il proprio pensiero fuori da qualsiasi controllo, priva dell'autorevolezza tipica delle testate giornalistiche o di altre fonti accreditate gli scritti postati». E ancora: «La generalità degli utenti di internet non dà peso alle notizie che legge». Quindi «le espressioni denigratorie godono di scarsa considerazione e credibilità e non sono idonei a ledere la reputazione altrui». Ora, sul caso si dovrà pronunciare il gip, visto che la donna ha presentato opposizione alla richiesta di archiviazione: «Trovo la richiesta del pm assurda, in questa vicenda siamo al limite dello stalking», ha detto la ragazza.
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Il Messaggero