Giovanni Veronesi, gioielliere ucciso a Milano: al figlio 50mila euro di risarcimento dopo 20 anni

Un cifra ritenuta «irrisoria» dai legali che lo assistono, Claudio Deflippi e Gianna Sammicheli, i quali ricorreranno in appello e alla Corti europee

Giovanni Veronesi, gioielliere ucciso a Milano: al figlio 50mila euro di risarcimento dopo 20 anni
Fu colpito 42 volte con un cacciavite, il 21 marzo 2013. Così morì Giovanni Veronesi, gioielliere di Milano ucciso venti anni fa nel corso di una rapina nella...

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Fu colpito 42 volte con un cacciavite, il 21 marzo 2013. Così morì Giovanni Veronesi, gioielliere di Milano ucciso venti anni fa nel corso di una rapina nella centralissima via dell'Orso a Milano. Ora suo figlio, in assenza di risarcimento dell'imputato, Ivan Gallo, condannato all'ergastolo e poi a 30 anni, ha ottenuto, dal giudice civile di Roma, che lo Stato italiano, in particolare la Presidenza del Consiglio, liquidi 50mila euro come indennizzo alle vittime di reati violenti. Un cifra ritenuta «irrisoria» dai legali che lo assistono, Claudio Deflippi e Gianna Sammicheli, i quali ricorreranno in appello e alla Corti europee. 

 

L'omicida Ivan Gallo scappato a Marbella

L'omicida del gioielliere, Ivan Gallo, era un tecnico che era stato da poco licenziato dall'azienda che si occupava anche dell'impianto di videosorveglianza della gioielleria di Veronesi, nel quartiere Brera, e fu fermato dai carabinieri in Spagna dopo una fuga durata cinque giorni. Per il giudice che lo condannò all'ergastolo in primo grado, «prima di essere catturato dalle Forze dell'ordine», l'uomo passò «le serate piacevolmente assumendo sostanze stupefacenti e dedicandosi ad attività ludiche», addirittura facendo «progetti per il suo futuro». Gallo si era «mostrato totalmente insensibile all'orrendo omicidio commesso», dimostrando «assoluta indifferenza rispetto ai gravi delitti commessi». Il movente era la rapina «con il desiderio di racimolare il denaro necessario a recarsi in Spagna in visita alla figlia». Arrivato a Marbella, però, non si era «dedicato solo alla figlia - aveva scritto il giudice nelle motivazioni -. Un suo amico che vive lì ha riferito ad un comune amico che la sera in cui era arrivato era stato visto al porto "tutto fatto" e mentre "giocava a freccette con un altro tossicone"». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero