MILANO Non c’è stato pentimento, ma solo la «vergogna per un’azione criminosa abnorme» da parte di Giuseppe Pellicanò, il pubblicitario che,...
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«RABBIA E VENDETTA»
«Più che di resipiscenza - scrive la corte - che non è certo emersa dalle dichiarazioni rese nel corso delle indagini fornendo versioni parziali e contraddittorie, può parlarsi infatti di vergogna per il risultato davvero abnorme dell’azione criminosa posta in essere per dare sfogo al prepotente sentimento di rabbia e di vendetta che gli impediva di accettare la sconfitta del suo progetto di vita familiare». Quanto alla riduzione della pena, i giudici la motivano con un calcolo errato in primo grado. L’entità dell’aumento della pena per il reato di devastazione (5 anni e sei mesi) decisa dal gup Chiara Valori «è eccessiva» e, per questo, spiega la corte, «si ritiene congruo limitare l’aumento a cinque anni, considerato che il reato di devastazione è stato comunque conseguenza diretta di un’unica azione individuale posta in essere dal solo Pellicanò». Proprio per effetto di questa riduzione non è possibile applicare l’isolamento diurno alla condanna all’ergastolo e dunque il computo finale della pena, scontata di un terzo per via del rito abbreviato, è di trent’anni di reclusione.
NON HA MAI INCONTRATO LE FIGLIE
Per i giudici di secondo grado, tuttavia, così come per il gup di Milano, non si possono concedere all’imputato le attenuanti generiche perché manca in Pellicanò la «resipiscenza» per le sue azioni, ossia non si è mai pentito di ciò che ha fatto.
Il Messaggero