Nella scorsa udienza ha giocato l’ultima carta. Una lettera in cui spiega di essere vittima di un clamoroso abbaglio giudiuziario: «Non ho ucciso Alfredo»,...
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CINQUANTA COLTELLATE
La moglie e i figli accolgono la sentenza con incredilità: «Noi siamo convinti fosse un omicidio premeditato. Il colltello con cui mio marito è stato ucciso è stato portato nello studio, del quale Cozzi aveva le chiavi. Inoltre l’omicida bei giorni precedenti adombrava l’instabilità psichica di Alfredo, per crearsi un alibi», afferma la moglie Maria Pia Biggi. Il comportamento di Cappelletti, ricorda, «è tutto tranne quello di un uomo che sta per uccidersi. Il giorno prima ha fatto benzina per partire ed è andato dal parrucchiere. Comunque è stato condannato, almeno un po’ di anni li passerò in cella».
Cozzi sta scontando anche 14 anni di carcere (con rito rito abbreviato) per aver ucciso, come aveva confessato lui stesso, Ettore Vitiello, titolare di un'agenzia di lavoro, nel 2010. Nella lettera dell'imputato, che è stata letta dal presidente della corte, il giornalista ha nuovamente ammesso l'omicidio di Vitiello, ma ha negato di avere assassinato l'imprenditore. «Eravamo molto legati - ha affermato Cozzi nella missiva - perché entrambi condividevamo la fede cristiana». Il verdetto per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione arriva a vent'anni di distanza dalla morte di Cappelleti, ritrovato senza vita con un coltello nel petto nel suo ufficio di via Malpighi.
Una morte inizialmente archiviata come un suicidio. Era stata poi la stessa procura a riaprire il caso, dopo che Cozzi, educatore familiare che anni fa ha condotto in tv la trasmissione “Diario di famiglia”, aveva confessato l'omicidio di Vitiello, ammazzato con circa cinquanta coltellate per un debito nel 2010. L'omicidio di Cappelletti, si legge nelle motivazioni della sentenza di primo grado, «non poteva essere stato compiuto da altri» che dal giornalista, all'epoca socio dell'imprenditore. Nei giorni precedenti il delitto, Cozzi, scrive la corte, «aveva cercato di accreditare segnali di particolare malessere della vittima» per orientare le indagini verso il suicidio.
ASSORDANTI ANALOGIE
Il cold case ha attirato l’attenzione della magistratura dopo la coindanna per l’omicidio di Vitiello.
ISCHEMIA CEREBRALE
Il processo non è stato facile, a causa del tempo passato e dei tabulati ormai irrecuperabili. Ma gli investigatori della squadra mobile che effettuarono i rilievi non hanno mai avuto dubbi: «Per noi quello non era un suicidio», hanno riferito in aula, ricordando di aver chiesto alla procura di mettere sotto controllo i telefoni di Cozzi, per loro l'unico sospettato. Le nuove indagini, tra cui una perizia sul dna dell'indagato, però, hanno portato nuovi elementi e il gup ha ordinato il rinvio a giudizio per «molteplici elementi fattuali, dichiarativi e logici» a carico di Cozzi che dimostrano una «evidente inconsistenza della tesi suicidaria».
Cappelletti, infatti, era reduce da un’ischemia cerebrale e non aveva «ancora riacquistato la piena funzionalità degli arti superiori», tanto che si sottoponeva a sedute di riabilitazione, dunque non aveva la forza necessaria per accoltellarsi. Tra l’altro, se si fosse davvero suicidato, l’arma sarebbe stata trovata ancora conficcato nel petto. Quanto al movente, l’imprenditore voleva chiudere i rapporti con Cozzi, che collaborava con la sua società ma «lo stava tradendo» commettendo delle irregolarità contabili: aveva scoperto che il giornalista conduttore di programmi Rai aveva deviato soldi dalla Innova Skills srl a una propria società. Ora arriva la condanna a 24 anni di carcere. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero