Covid, Miozzo (Cts): «Non abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare. Lo dimostrano le file ai drive-in»

Avevamo tanto tempo a disposizione per prepararci alla seconda ondata di coronavirus, ma non abbiamo fatto abbastanza per affrontarla. È Agostino Miozzo, il direttore del...

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Avevamo tanto tempo a disposizione per prepararci alla seconda ondata di coronavirus, ma non abbiamo fatto abbastanza per affrontarla. È Agostino Miozzo, il direttore del Comitato Tecnico Scientifico, a fare un bilancio di quanto fatto per combattere il Covid. «Stiamo entrando in una seconda fase della pandemia - ha spiegato Miozzo durante il webinar "Pandemia di Covid-19 in Italia" dell'Università Cattolica -.  Abbiamo avuto tanto tempo per preparaci adeguatamente e mi chiedo se il sistema abbia utilizzato il tempo disponibile. Quando vedo le immagini di persone 8-10 ore in coda al drive-in per fare il tampone ho la sensazione che la risposta alla domanda sia drammaticamente negativa. Non abbiamo fatto tutto quello che avremmo dovuto fare. Non possiamo più perdere tempo, stiamo entrando in una fase estremamente critica». 

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La pandemia di Covid-19, ha proseguito Miozzo, «è stata la prima vera grande emergenza planetaria». Dal primo gennaio al 10 marzo, «la comunità internazionale ha avuto 2 mesi, un tempo lunghissimo per prepararsi, eppure nessuno lo ha utilizzato. Siamo andati in crisi rapida a marzo perché mancavano mascherine e bombole di ossigeno». Successivamente, «abbiamo avuto una buona capacità di risposta, siamo usciti da un periodo drammatico con l'ansia di ritornare alla normalità, un'ansia governata un pò superficialmente e di cui ora vediamo i risultati». Ma nel frattempo non si è fatto tutto il possibile per attrezzarci all'arrivo del freddo. «Sapevamo che con la stagione invernale sarebbe arrivato anche il problema delle influenze e che questo avrebbe gravato sulla capacità di risposta degli ospedali». Ora, ha concluso Miozzo, «abbiamo il dovere di non perdere tempo prezioso e imparare dalle lezioni avute, per non soccombere a ciò che accade».

 

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Il Messaggero