Covid-19, ipotesi epidemia a ondate di 18 mesi: come cambierà nostra vita, dai taxi all'aria condizionata

Coronavirus, non sarà questione di pochi mesi. Ci saranno la fase 2, la 3, la 4, la 5. Certo, potremo uscire quando prima dell’estate il lockdown finirà, ma le...

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Coronavirus, non sarà questione di pochi mesi. Ci saranno la fase 2, la 3, la 4, la 5. Certo, potremo uscire quando prima dell’estate il lockdown finirà, ma le nostre vite saranno differenti. Ci saranno sensori che diranno se sui luoghi di lavoro o nelle aree pubbliche le persone si stanno avvicinando troppo. Termoscanner ovunque ci misureranno la febbre quando entreremo al supermercato o in ufficio. Gli impianti di aria condizionata potranno funzionare solo se ciclicamente sanificati, altrimenti dovranno restare spenti. Barriere di plexiglass sui taxi, ma anche orari differenti per i vari posti di lavoro, in modo che non ci sia più “l’ora di punta” in cui il trasporto pubblico si affolla più del normale. Saranno obbligatorie le mascherine, ma serviranno quelle sanificabili, perché le “usa e getta” non saranno mai sufficienti per un paese di 60 milioni di abitanti (limitandosi all’Italia). E sarà chiesto ai più anziani di limitare i loro spostamenti.


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Ecco, in sintesi, cosa ci aspetta ora che è chiaro che non sarà sufficiente l’allentamento del lockdown a farci tornare alla normalità. Se davvero a maggio ci saranno parziali riaperture non significa che tutto tornerà come prima, come si vede in Spagna che da oggi ha abbassato il livello delle chiusure. Con il coronavirus dovremo convivere ancora a lungo. «Fino a quando non ci sarà il vaccino» spiegava l’altro giorno il responsabile di Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, Gianni Rezza. Negli Stati Uniti, Neel Kashkari, presidente della Federal Reserve Bank di Minneapolis, ha spiegato a Cbs News che è necessario pensare a una strategia di diciotto mesi, «per riorganizzare il sistema sanitario e quello economico».

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Il timore è quello di una pandemia a ondate con fasi di tregua e altre di riacutizzazione. Essere preparati, avere sufficienti posti di terapia intensiva e personale sanitario, capacità di intervenire per fermare sul nascere i focolai che si andassero a sviluppare, è l’unica strada, insieme ovviamente a un miglioramento delle terapie e la ricerca del vaccino che, secondo quanto ha spiegato uno dei componenti del comitato tecnico scientifico, il professor Alberto Villani, potrebbe essere rapida quanto mai nella storia. Nel Lazio, spiega l’assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, sarà diffuso un decalogo sulle cose da fare per potere andar verso una parziale riapertura. «Ma bisogna cominciare a prepararsi subito».

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Il Messaggero