Coronavirus, è strage dei fiori: tonnellate di piante inviate al macero. Il 95% del mercato è crollato

Fiori pronti per il macero
La strage dei fiori. Si è abbattuta una tempesta sui vivai. La bufera si chiama Covid-19. Il virus colpisce (indirettamente) le aziende, genera disoccupati, spedisce le...

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La strage dei fiori. Si è abbattuta una tempesta sui vivai. La bufera si chiama Covid-19. Il virus colpisce (indirettamente) le aziende, genera disoccupati, spedisce le piante al macero mentre la liquidità scivola via e i migliori guadagni dell’anno, quelli primaverili, vengono bruciati. Inceneriti come i gerani, le primule, le petunie, le viole, le calle e i tulipani sradicati e abbondonati a marcire nei campi per diventare, nella migliore delle ipotesi, concime. Venderli è impossibile. Tutta la filiera è bloccata per il lockdown. Il danno stimato sul comparto italiano è intorno al miliardo e mezzo di euro. Parola di Leonardo Capitanio, 30 anni, presidenti di Anve (Associazione nazionale vivaisti esportatori) che rappresenta 1800 aziende sparse su tutto il Paese. “Il 70% dell’intero fatturato annuale lo si fa in primavera”, ammette Capitanio.


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Mai una crisi di questa portata si era abbattuta sul sistema florovivaistico nazionale. Il batterio della xyllela, che pure aveva creato enormi danni agli uliveti e ai vivai pugliesi, in confronto alla situazione attuale sembra un colpo di tosse. Un comparto colpito al cuore. Florovivaisti di tutta Italia per quattro mesi si erano rimboccati le maniche in attesa di piazzare il fiorito stagionale tra marzo e maggio: periodo che rappresenta il punto culminante degli sforzi ed anche dei guadagni. Begonie, gerbere, ortensie, margherite dimorphoteche, orchidee e campanule sono rimaste dentro le serre ad appassire. Danno stimato? “Siamo vicini al 95% di invenduto”, aggiunge Capitanio. Tutti i fiori hanno un ciclo di vita breve: sbocciano, fioriscono e appassiscano. E nel frattempo devi venderli.
Adesso il futuro a breve termine si fa traballante. “L’intero settore impiega 200mila persone – spiega Capitanio - contiamo il 6% del pil agricolo italiano”. Gli sforzi messi in campo dal governo non sembrano essere sufficienti per tenere in piedi il sistema: “Per adesso non è stato previsto niente di specifico per il nostro settore. La previsione del governo è un prestito a tassi bassi da restituire in sei anni – riferisce il presidente di Anve - Come minimo servirebbe il doppio del tempo dati i danni che stiamo subendo, con l’aggiunta anche di un fondo che ci indennizzi”.

Ma oltre al fiorito stagionale, ovviamente, i florovivaisti coltivano anche arbusti, alberi e rampicanti. Prodotti indirizzati ai giardini. Il rosmarino, le buganvillee, la lantana, la lavanda, ma anche il leccio, il ficus, l’olivo e piante da siepe come l’alloro, solo per fare degli esempi. In molti pensano che si possano immagazzinare e rivendere l’anno successivo. Una mezza verità. Perché anche queste piante hanno una pezzatura, un’età precisa in cui essere commercializzate. Dopo diventa più complicato. E allora, anche in questo caso, la via della distruzione è l’unica salvezza per l’azienda. “Le strutture dove li conserviamo hanno una superficie limitata, e c’è un ciclo continuo con nuove piante che coltiviamo”, spiega sempre Capitanio. In una parola: non c’è spazio e portare avanti la coltivazione di una pianta comporta investimenti supplementari. Un rischio che in molti non vogliono correre in questa emergenza. “Si fa i florovivaisti per professione – conclude Capitanio - ma anche per passione: vedere le piante morire è un colpo al cuore”.
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Il Messaggero