Si è trovato davanti «una scena raccapricciante, la bimba era totalmente sfigurata dalle botte, aveva lividi dappertutto e faceva fatica anche a vedere, aveva...
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«Dovete portate in prigione mio padre, la sera beve la birra e ci picchia, e mamma deve chiamare i carabinieri». E' un grido d'aiuto giunto troppo tardi, quello della piccola sorellina di Giuseppe. A riferire le sue parole, è proprio uno degli agenti della Polizia intervenuti nell'ospedale Santobono di Napoli, testimone oggi, nel tribunale di Napoli, Queste parole la bimba le riferisce al poliziotto, mentre sta disegnando, nel reparto dove la piccola è ricoverata e dove sarà sottoposta a un intervento per suturare una parte dell'orecchio parzialmente staccata, verosimilmente per le botte ricevute.
«Mi sembrava un mostro, era irriconoscibile» e poi «non pensavo che una persona potesse arrivare a tanto» ha detto una vicina di casa del piccolo Giuseppe, durante l'udienza del processo. La circostanza fa riferimento al giorno in cui Giuseppe venne ucciso, precisamente al momento in cui intervennero i sanitari del 118. «Quando ho visto la bambina - ha detto ancora la donna - ho pensato a mio figlio che ha otto anni...aveva i capelli strappati, dietro la nuca, l'ho vista per pochi istanti ma fa male ricordare». La donna ha poi ricordato le volte che li vedeva andare a scuola: «avevano sempre gli occhi bassi, sembravano impauriti». Quel giorno (quello dell'omicidio), ricorda la donna, «non mi è stato chiesto aiuto» e neppure «ho sentito urlare». La testimone ha poi confermato alcune dichiarazioni rese alle forze dell'ordine quando venne ascoltata nell'immediatezza dei fatti: «quella era la casa degli orrori: lui che urlava sempre tantissimo e diceva parolacce». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero