La morte dell’undicenne suicida a Napoli ha sconvolto un’intera città. Gli inquirenti sono impegnati nelle indagini, ma prima che si faccia luce su questa...
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Bimbo suicida a Napoli, la madre di un compagno di classe: «I suoi amici ora dicono: avremmo fatto come lui»
Napoli, bimbo suicida a 11 anni: chi è Jonathan Galindo, il folle gioco social che spinge ad uccidersi
Nei mesi di lezione in presenza nella prima classe delle medie, il ragazzo era riuscito a farsi tanti amici. Con uno in particolare, che conosceva già dalla scuola primaria, aveva instaurato un rapporto molto forte e in queste ore drammatiche è stato sentito dagli inquirenti che vogliono far chiarezza su eventuali turbamenti, paure o perfino minacce ricevute attraverso uno dei device digitali sequestrati. Tutti concordano nel dire che era un bambino senza problemi scolastici, né di apprendimento né di socialità. «A scuola abbiamo numerose iniziative extracurriculari che toccano tematiche di integrazione, in particolare contro il bullismo e le ludopatie. Iniziative che abbiamo mantenuto anche nel periodo del lockdown, proprio perché vivere quella fase così complessa necessitava di un supporto» racconta una docente. «I ragazzi sanno che se hanno un problema, possono parlarne con lo sportello di ascolto, uno spazio di incontro e confronto anche per docenti e genitori per risolvere le difficoltà che naturalmente possono sorgere nel rapporto con un ragazzino della fascia di età delle medie, che muta mese dopo mese. Lo psicologo a disposizione è tenuto al segreto professionale, i ragazzi lo sanno. Luca non lo ha mai contattato così come nessun altro della sua classe».
Secondo la docente, i motivi del disagio che potrebbero aver portato al drammatico gesto sarebbero da ricercare «nelle fragilità tipiche di quell’età, esasperate dalla chiusura delle scuole e dalla clausura in casa, che ha eliminato totalmente la socialità fisica ed amplificato quella virtuale». I game disorder, come accade a tanti coetanei, che in Luca potrebbe fatto insorgere «una fuga dalla realtà, un rifugio virtuale che lo ha inghiottito in un abisso senza via di uscita. Spero che le indagini sulla Playstation e il tablet portino a una chiarificazione: la famiglia ne ha necessità, ma serve anche ai suoi amici, per non cadere in questa trappola a loro volta». Sulle tematiche della ludopatia, infatti, si parlerà a scuola nei prossimi tempi: «Se abbiamo imparato qualcosa da questo dramma, è che non è mai abbastanza l’impegno che ci mettiamo per difendere questi ragazzi dai pericoli del web». I compagni del bimbo suicida hanno chiesto alla scuola di aiutarli ed è stato ripristinato lo sportello psicologico. «Non riescono a darsi pace. Quello che noi possiamo fare ora è costruire una rete intorno ai ragazzi, con lo psicologo al centro, in cui potersi aprire senza filtri». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero