La proposta di Francesco Boccia ai presidenti di Regione il 29 aprile non aveva fatto tanto rumore, ma allora gli italiani stavano a casa e non si era tornati alla movida che...
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Il ministro Pd degli Affari regionali, appoggiato dal presidente dell'Associazione Comuni (Anci) Antonio Decaro, pensa ai volontari per aiutare chi non ce la fa da solo, come nella fase dell'emergenza più dura, ma anche per far rispettare il distanziamento sociale, l'uso delle mascherine e il divieto di assembramento. Ipotesi queste ultime di cui al Viminale nulla sapevano tanto che dal ministero fanno sapere di non essere stati informati preventivamente. Un corto circuito che spinge il premier Giuseppe Conte a convocare un vertice con Boccia e le ministre Luciana Lamorgese (Interni) e Nunzia Catalfo (Lavoro). «I Ministri interessati al progetto proseguiranno nelle prossime ore nel mettere a punto i dettagli di questa iniziativa - dicono al termine fonti di Palazzo Chigi -, che mira, per il tramite della Protezione civile, a soddisfare la richiesta di Anci di potersi avvalere, per tutta la durata dell'emergenza sanitaria, di soggetti chiamati ad espletare, gratuitamente, prestazioni di volontariato». Ma i volontari «non saranno »incaricati di pubblico servizio« e la loro attività non avrà nulla a che vedere con le attività a cui sono tradizionalmente preposte le forze di polizia». Forte contrarietà all'idea di Boccia è emersa anche nelle forze di governo.
Matteo Renzi da Italia Viva parla di «follia», mentre dal Pd parole analoghe arrivano da Matteo Orfini. «Siamo perplessi, ma troveremo una soluzione», dice il capo politico M5S Vito Crimi, e Catalfo si dice «perplessa». Giorgia Meloni dall'opposizione denuncia una «deriva autoritaria» del governo. Da Forza Italia Anna Maria Bernini parla di «guardie rosse» come nei Paesi comunisti. «Nessuna vigilanza, ronda o sentinelle anti spritz», ribattono fonti vicine a Boccia.
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L'opposto del sindaco di Milano Giuseppe Sala che ha vietato la vendita delle bevande da asporto dalle 19. Un provvedimento che nelle intenzioni del sindaco ha l'obiettivo di punire «il consumo di alcolici in piedi se non sarà in un luogo dedicato» ma che di fatto non chiude i locali né la vendita delle bevande nei supermercati. A Roma invece la sindaca Virginia Raggi apre un nuovo fronte: multe fino a 500 euro per chi abbandona mascherine e guanti. C'è poi la questione del 3 giugno, il vero nodo su cui esiste un confronto acceso da giorni sia tra governo e regioni sia all'interno dello stesso esecutivo. I dati fondamentali per stabilire se potranno essere autorizzati o meno gli spostamenti tra le Regioni arriveranno il 29 maggio, ma non sarà quello il giorno della decisione. Gli esperti si prenderanno infatti almeno altre 24-36 ore per vedere l'andamento della curva e solo allora si riunirà il governo: è probabile dunque che la decisione arrivi tra l'1 e il 2 giugno.
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Ma a stabilire le riaperture non saranno però solo i numeri: «c'è una questione di opportunità politica che dovrà essere valutata», dicono fonti di governo ricordando che ad oggi la Lombardia continua ad avere il 50% dei nuovi contagi e 25 mila attualmente positivi su un totale di 55 mila in tutta Italia. Numeri 'pesantì che, senza dirlo esplicitamente, molti governatori temono nel caso in cui si riaprisse tutto. Dunque non è affatto escluso che, alla fine, si possa seguire la linea dei due binari: uno per la Lombardia e uno per il resto d'Italia. «La curva continua a piegarsi dal lato giusto, ma serve cautela» ripete il ministro della Salute Roberto Speranza.
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Il Messaggero