Maker Faire, la mega stampante 3D fa rivivere Palmira, distrutta dall'Isis

Maker Faire, la mega stampante 3D fa rivivere Palmira, distrutta dall'Isis
Come nel mito della Fenice, il leggendario uccello conosciuto sin dall'alba della civiltà umana. Questa volta però a risorgere dalle proprie ceneri potrebbe essere un toro,...

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Come nel mito della Fenice, il leggendario uccello conosciuto sin dall'alba della civiltà umana. Questa volta però a risorgere dalle proprie ceneri potrebbe essere un toro, il toro alato del tempio di Nimrud, la biblica città irakena di Calah, ridotto dalla furia distruttrice dell'Isis in polvere. Ma è proprio dalla sua polvere, dalle sue macerie, che potrebbe rinascere grazie alla più moderna tecnologia di ricostruzione, quella di una stampante 3D. In un intreccio temporale che lega passato e futuro nel nome dell'uomo.




Il piano è stato presentato, ieri pomeriggio alla Sapienza nell'ambito di Maker Faire, dal presidente dell'Associazione “Incontri di civiltà” Francesco Rutelli che ha spiegato l'anima dell'iniziativa. «Il terrorismo ha pensato di poter distruggere per sempre i grandi capolavori patrimonio dell'umanità, noi con questo progetto dimostriamo invece che grazie alla tecnologia e alla creatività l'idea della distruzione può essere sconfitta. Non faremo dei calchi, noi ricostruiremo quello che ora non c'è più. E per questo abbiamo necessità di raccogliere quanti più particolari delle opere in una piattaforma digitale davvero aperta a tutti».



IL FINE

L'obiettivo finale è la ricostruzione in scala 1 a 1, cioè a grandezza naturale di statue, templi, archi e tutto ciò che di architettonicamente imponente è stato spazzato via. Per il momento però hanno fatto bella mostra di sé due modellini accurati nella loro fattura. Tanto da avere riprodotti i segni dello scalpello di chi dieci secoli prima di Cristo aveva davvero creato i tori androcefali, guardiani della città. A realizzarli la macchina creata da Massimo Moretti, un maker romagnolo dall'animo autenticamente rivoluzionario. Dopo aver fondato con altri sognatori tecnologici a Massa Lombarda la Wasp - acronimo per World's Advance Saving Project, ma che tradotto vuol dire anche vespa, modello per la loro stampante 3D, veloce, economica e versatile soprattutto per l'artigianato- ha pensato ancora più in grande. E ha deciso che si potevano stampare case. «Case per chi non ha niente - racconta - fatte con la terra del luogo».



LA MACCHINA

Per questo a Roma ha portato la più grande stampante 3D al mondo, la Big Delta 12 metri, una gabbia metallica che supera di gran lunga il colonnato della Sapienza. E proprio con questa stampante potrebbe ricostruire le opere più grandi «Siamo riusciti a fare i modellini in tre giorni in porcellana - spiega nella conferenza stampa accanto a Riccardo Luna, consigliere per l'innovazione della presidenza del Consiglio- prima servono fotografie, scansioni digitali magari 3D e certo poi il sogno sarebbe quello di ricostruire con i materiali del posto, la polvere delle macerie, sarebbe impatto emotivo molto molto forte. I costi? Non saprei...nel mondo dei maker diciamo che conta la passione certo poi sarebbe bello essere pagati».



Soldi a parte, l'Associazione è no profit , il momento il prossimo step che annuncia Rutelli, sarà quello di «restituire al mondo magari entro dicembre opere che non esistono più, statue o bassorilievi, come quelli distrutti a Palmira o a Ninive, in modo da esporle in una mostra itinerante nelle capitali». La Wasp nel campo del patrimonio culturale ha già dato prova di sè con 86 calchi di Pompei: «Un esempio di come la tecnologia può essere al servizio dei beni culturali».



IL DIBATTITO

Certo, un conto sono i calchi e un conto le ricostruzioni, che nei secoli hanno prodotto più di mille polemiche tra gli studiosi, tra problemi di arte, storia e riproducibilità. «Può darsi che si resti scettici, in fondo stiamo parlando di falsi - commenta l'archeologo che scoprì Ebla, Paolo Matthiae - ma qui si tratta di restituire all'umanità la sua identità. Dunque è essenziale. E non solo per il popolo siriano. Vi faccio l'esempio di Dresda, distrutta in due giorni nel febbraio del '45. Si pensava di lasciare le macerie a testimonianza dell'infamia ma poi prevalse l'idea di ridare ai tedeschi e all'umanità tutta la propria storia, la propria identità. Una scelta vincente».



«Ricostruire, ricostruire, ricostruire - interviene Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro Mediterraneo-Italia - perché dobbiamo dare testimonianza fisica, loro distruggono e noi ricostruiamo». «Siamo molto orgogliosi perché questa è un'operazione tutta italiana, politico-culturale che si riassume in una parola: volontariato - conclude Rutelli - Non solo: a sostegno dell'appello all'Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale dell'umanità, si sono mosse tutti i più grandi nomi della cultura italiana da Riccardo Muti ai premi Oscar». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero