Rockettari di tutto il mondo amanti della musica anni '60, esultate. Esultate e preparate le vostre valigie “virtuali”, perché c'è un videogioco...
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Anche se stavolta però non c'è alcuna scalata alle gerarchie della malavita organizzata, ma semmai il contrario: questo videogame racconta non come si sopravvive alla mafia, ma come la si distrugge dall'esterno. E non solo, questa volta tutto sembra molto più oscuro e drammatico: la storia vissuta dal protagonista, l'orfano di colore Lincoln Clay, è una sorta di “Kill Bill”, in cui dal dolore e dalla violenza scaturisce il cieco desiderio di vendetta che poi lo porterà a scatenare una lotta folle e solitaria alla mafia. Ergo, altra violenza.
All'inizio c'è sempre la guerra: come nel caso di Mafia II, in cui il protagonista Vito Scaletta era reduce della seconda guerra mondiale, qui Lincoln è uno dei sopravvissuti all'inferno del Vietnam. Anche nel suo caso, e forse ancora di più, gli incubi e gli orrori del conflitto non lo abbandonano mai, nemmeno una volta tornato dalla sua famiglia adottiva, cioè il clan che controlla il quartiere di Delray Hollow per conto della mafia italiana, capeggiata dallo spietato Salvatore “Sal” Marcano. Anzi, è proprio allora che le cose precipitano irrimediabilmente, come ci raccontano gli stessi personaggi della storia. «Immagina di essere chiuso in una stanza buia – spiega in merito al ritorno dalle armi padre James, uno dei personaggi più complessi della storia – e che tutti i tuoi peggiori incubi siano lì con te. Non hai via d'uscita. Un bel giorno, come se nulla fosse, ti aprono la porta e vi dicono: “Puoi andare, sei libero”. Solo che tu ormai con quegli incubi hai imparato a convivere, e anche la morte non ti fa più paura». È così che si sente Lincoln quando mette di nuovo piede a casa. Anche se non sa che la vera tragedia deve ancora accadere.
L'approccio utilizzato dagli sviluppatori è quello del documentario, con interviste ai protagonisti a intramezzare le scene di gioco. Una soluzione che permette di approfondire molto il profilo personale dei personaggi e che rende questo titolo, prima ancora che un videogame d'azione, un'avventura narrativa tutta da gustare. Un'avventura in cui a farla da padrone è la musica: dai Rolling Stones agli Animals, passando per Creedence Clearwater Revival, Otis Redding, Johnny Cash, Misfits, Vanilla Fudge, Ramones, The Miracles, The Temptations e tanti altri. Una colonna sonora strepitosa, dosata bene a fare da sottofondo a scene di violenza e perdizione (l'alcool, il fumo e il sesso sono praticamente onnipresenti) ma anche di puro stile americano anni '60.
Una delle parti migliori, prima ancora delle sparatorie e delle singole missioni, è senz'altro il poter girare con auto dell'epoca fra le vie di una città che, letteralmente, non dorme mai. Anche questo uno degli elementi caratterizzanti dei precedenti capitoli. E per i nostalgici c'è anche una bella sorpresa: il ritorno di Vito Scaletta, il protagonista di Mafia II, trasferito sotto copertura da Empire Bay a New Bordeaux.
Lo stile, in Mafia III, non è però sempre sinonimo di fascino, anzi. La società americana di quel periodo era infatti impregnata di razzismo e discriminazione, elementi fortemente presenti nel gioco. E qui sta anche uno dei maggiori meriti dei creatori di Mafia III: aver avuto il coraggio di confrontarsi con un aspetto scomodo e difficile, ma averlo fatto nel modo migliore, con l'onesta e anche con la brutalità che alla fine sono il miglior antidoto perché mostrano senza pietà lo squallore di certi comportamenti. Dimostrando per l'ennesima volta quanto i videogiochi siano in grado di ricostruire la storia e, perché no, avere anche una funzione pedagogica.
andrea.andrei@ilmessaggero.it
Twitter: @andreaandrei_ Leggi l'articolo completo su
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