Jimi Hendrix, finalmente il film sul mito della chitarra: la regia sarà del premio Oscar John Ridle

Jimi Hendrix
Si parlava da anni di un biopic su Jimi Hendrix, sparando nomi di registi e interpreti come Quentin Tarantino, Lenny Kravitz, Eddie Murphy e Will Smith che, per beghe legali e...

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Si parlava da anni di un biopic su Jimi Hendrix, sparando nomi di registi e interpreti come Quentin Tarantino, Lenny Kravitz, Eddie Murphy e Will Smith che, per beghe legali e sfinimento, rinunciavano. Ora il tira e molla è finito. Il film si intitola All Is by My Side, presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival e questa settimana allo SXSW del Texas, arriverà in anteprima italiana al Biografilm Festival di Bologna (6-16 giugno). Tempismo perfetto per il regista John Ridley, che ha appena incassato il premio Oscar per l’adattamento di 12 anni schiavo. Nei panni del chitarrista, finora considerato irrappresentabile, c’è André 3000, carismatico leader degli OutKast, bravo musicista e attore che però, per imparare il ruolo, ha dovuto esercitarsi a suonare da mancino.




La storia In genere un biopic deve incastrare la vita (mai convenzionale) di un artista in un paio d’ore, stavolta la storia si concentra solo su due anni, 1966 e 1967, quando in giro suonava un tale Jimmy James, che lasciò New York per andare a raccogliere qualche opportunità in più nella Londra che swingava e tornò un anno dopo per infiammare il festival di Monterey. Quella che si narra è la pre-fama, il periodo in cui Jimi faticava a pagare le bollette e affidava la sua sorte alle decisioni di chi incontrava: Linda Keith, a quel tempo fidanzata di Keith Richards, che lo mise in contatto con le persone giuste e gli consigliò di comprare una chitarra come si deve, e Chas Chandler, che lo convinse a trasferirsi nel Vecchio Continente, dove spiazzò con la sua attitudine selvaggia, conquistò tutti, da Eric Clapton ai The Who, sfornò quel Hey Joe che rimase nella storia della musica, e poi tornò, su intercessione di Paul McCartney, al Monterey Festival, per sigillare l’estate dell’amore con una performance di quaranta minuti dove dette spettacolo con la Fender Stratocaster, mimando amplessi, facendola vorticare, infine bruciandola in un gesto fra estasi e catarsi.



La consacrazione Fu più di una esibizione. Fu l’inizio di una rivoluzione sbocciata poi a Woodstock, dove un eccentrico afroamericano vestito da indiano-gitano-cowboy superava il concetto di razza, mischiava la musica di bianchi e neri, unendo tutti. Fu il trionfo di un bambino geniale e fantasioso, che aveva svitato una radio per «trovare la musica», rubato al supermercato per fame e sognato di possedere superpoteri senza sapere di averli davvero.



All Is by My Side spiega una fetta di esistenza meno nota e meno disposta alla mitologia. Il regista ha fatto di necessità virtù, visto che la famiglia di Jimi, che controlla la sua musica, l’immagine e la reputazione, non ha autorizzato né la pellicola né l’uso delle canzoni che lo hanno reso un’icona. Il che non costituisce un problema quando si seguono le sue prime esibizioni, principalmente cover di rhythm & blues, ma lo diventa quando la sua opera originale viene amputata nel momento di massima esplosione.



L’altro progetto La famiglia Hendrix è subito andata al contrattacco, promettendo un altro biopic, che include l’intero repertorio di Jimi. E su una simile produzione, ci si può giurare, si fionderà a collaborare tutta la Hollywood che conta. Intanto, dopo un anno di lavorazione, è stato dato il permesso per il francobollo postale, già feticcio per collezionisti, dove Hendrix è ritratto in puro stile psichedelico. La Fondazione annuncia anche uscite discografiche postume (quelle sì, vengono autorizzate a scatafascio) e un parco in suo onore che sorgerà nel centro di Seattle. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero