“Biancaneve e i sette tori”, dalla Spagna la versione più sorprendente della fiaba

“Biancaneve e i sette tori”, dalla Spagna la versione più sorprendente della fiaba
Un matador che nell’arena affronta sette tori in una volta. Un’infermiera che si prende cura di lui quando viene incornato e alla fine lo sposa. Una bambina che...

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Un matador che nell’arena affronta sette tori in una volta. Un’infermiera che si prende cura di lui quando viene incornato e alla fine lo sposa. Una bambina che cresce con quella matrigna crudele imparando sulla propria pelle cosa significano l’umiliazione e il dolore. E su tutto la luce abbagliante di Siviglia, le mantiglie nere delle donne, le velette che esaltano e celano al contempo insidie e bellezze, il rituale feticistico della vestizione del torero, raddoppiato dai giochi erotici della sua perversa moglie-infermiera. Spiati nel buio più fitto dalla figlia della prima moglie...




Dopo due chiassose e dimenticabili Biancaneve hollywoodiane, arriva dalla Spagna una versione gotica, muta e in bianco e nero della fiaba dei Grimm che finalmente ci fa sobbalzare sulla sedia. Il merito non è solo del mascherino in 1:33, delle immagini curatissime che esaltano suggestioni e perfidie del cinema muto, insomma del gioco con la nostra memoria cinèfila, che potrebbe anche esaurirsi nelle prime sequenze. Ma di un adattamento e di un’ambientazione che si sposano a meraviglia con una scelta di regia così radicale, riprendendo dal muto ciò che il cinema ha perso trovando la voce:l’inquietudine, la meraviglia, la profondità delle immagini e dei sentimenti più estremi.



Il Blancanieves di Pablo Berger, ricoperto di premi in patria, è infatti ambientato nella Siviglia anni 20 (un po’ come se fosse stato girato all’epoca) ed è un trionfo di ombre ed efferatezze girato a ritmo di musica (memorabile la scena scandita dai battimani del flamenco) che si muove sapientemente a cavallo fra gotico e fantastico (con una lieve caduta di tono, inaspettatamente, quando dalla portentosa Carmencita-Biancaneve bambina si passa alla più insipida versione adulta). Un occhio a Goya, l’altro ai mondi devianti di Tod Browning (il regista di Freaks), l’obiettivo puntato sugli occhi di animali e interpreti, che ispirano alcuni dei momenti più vertiginosi del film, Berger si spinge ancora più lontano di The Artist. E ci ricorda che il muto, con paradosso solo apparente, ha un grande avvenire. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero