Un matador che nell’arena affronta sette tori in una volta. Un’infermiera che si prende cura di lui quando viene incornato e alla fine lo sposa. Una bambina che...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Dopo due chiassose e dimenticabili Biancaneve hollywoodiane, arriva dalla Spagna una versione gotica, muta e in bianco e nero della fiaba dei Grimm che finalmente ci fa sobbalzare sulla sedia. Il merito non è solo del mascherino in 1:33, delle immagini curatissime che esaltano suggestioni e perfidie del cinema muto, insomma del gioco con la nostra memoria cinèfila, che potrebbe anche esaurirsi nelle prime sequenze. Ma di un adattamento e di un’ambientazione che si sposano a meraviglia con una scelta di regia così radicale, riprendendo dal muto ciò che il cinema ha perso trovando la voce:l’inquietudine, la meraviglia, la profondità delle immagini e dei sentimenti più estremi.
Il Blancanieves di Pablo Berger, ricoperto di premi in patria, è infatti ambientato nella Siviglia anni 20 (un po’ come se fosse stato girato all’epoca) ed è un trionfo di ombre ed efferatezze girato a ritmo di musica (memorabile la scena scandita dai battimani del flamenco) che si muove sapientemente a cavallo fra gotico e fantastico (con una lieve caduta di tono, inaspettatamente, quando dalla portentosa Carmencita-Biancaneve bambina si passa alla più insipida versione adulta). Un occhio a Goya, l’altro ai mondi devianti di Tod Browning (il regista di Freaks), l’obiettivo puntato sugli occhi di animali e interpreti, che ispirano alcuni dei momenti più vertiginosi del film, Berger si spinge ancora più lontano di The Artist. E ci ricorda che il muto, con paradosso solo apparente, ha un grande avvenire. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero