Diventano genitori con la pratica dell'utero in affitto in Ucraina, assolta coppia di Frosinone

Diventano genitori con la pratica dell'utero in affitto in Ucraina, assolta coppia di Frosinone
Erano finiti a processo con l'accusa di aver dichiarato il falso dopo essere diventati genitori con la pratica dell'utero in affitto. Ma un aggettivo, anche quando si...

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Erano finiti a processo con l'accusa di aver dichiarato il falso dopo essere diventati genitori con la pratica dell'utero in affitto. Ma un aggettivo, anche quando si tratta di una cosa complicata come la maternità, può fare la differenza. Almeno per la legge. È stata proprio una parola, non detta, che ha permesso a una coppia di imprenditori di Frosinone di essere assolta e soprattutto di continuare ad essere, anche per la giustizia, padre e madre di due gemelli, un maschietto e una femminuccia. L'epilogo della storia rischiava di essere tragico perché per i bimbi, in caso di condanna, si sarebbe aperta la prospettiva drammatica di un ritorno nel paese dove sono nati due anni fa, l'Ucraina, oggi teatro di guerra. È invece resteranno in Italia. Per sempre.

Come tante altre coppie italiane, i due ciociari, non potendo avere figli, avevano deciso di andare in Ucraina, dove la maternità surrogata viene praticata legalmente in cliniche specializzate.
Gli spermatozoi dell'imprenditore ciociaro sono stati impiantati negli ovuli di un'altra donna (la madre biologica), una ucraina di 21 anni. L'ovulo fecondato è stato poi inserito in una terza donna che ha portato a termine la gravidanza per conto dei genitori italiani committenti.

IL RITARDO PER LA PANDEMIA

Il percorso di maternità surrogata si è concluso a giugno del 2020, ma nel frattempo era scoppiata la pandemia, per cui la coppia ciociara è riuscita ad arrivare in Ucraina solo otto giorno dopo la nascita dei due gemellini.

Un dettaglio che non è passato inosservato quando i due ciociari si sono recati in ambasciata per le pratiche necessarie per fare ritorno in Italia con i neonati. Il certificato di nascita in cui due si dichiaravano genitori dei bambini, infatti, risaliva a otto giorni prima della data del visto di arrivo a Kiev. Qualcosa non tornava. La coppia ha quindi fatto ritorno in Italia con i gemellini, ma l'ambasciata, come da prassi in questi casi, ha segnalato la vicenda all'autorità giudiziaria italiana.

In Italia, sulla base della legge 40 del 2004, la maternità surrogata è vietata. E quindi, nonostante sia il concepimento che il parto siano avvenuti nella capitale dell'Est Europa, chi ricorre all'utero in affitto può essere accusato del reato di alterazione di stato che prevede una pena dai 5 ai 10 anni. E così è successo per la coppia ciociara.

LE ACCUSE

La Procura del capoluogo ha aperto un procedimento nei loro confronti e quindi chiesto il rinvio a giudizio. Il legale della coppia, l'avvocato Nicola Ottaviani, ha optato per il rito abbreviato. E venerdì scorso si è tenuta l'udienza davanti al gup Fiammetta Palmieri. Appuntamento al quale li genitori si sono presentati non potendo fare a meno di pensare, con terrore, alle immagini di distruzione e morte che arrivano dal paese in cui, in casa di condanna, i loro figli sarebbero dovuti tornare.

LA TESI DEL DIFENSORE

E a decidere le sorti della coppia e dei loro figli è stato un aggettivo. Mentre il pm ha chiesto la condanna, pur derubricando il reato da alterazione di stato a quello meno grave di falso in atto pubblico, l'avvocato della coppia ha obiettato che non ci fosse stata alcuna falsificazione. Il padre è quello biologico e nessuno lo può contestare. La donna, invece, ha osservato il difensore, si è dichiarata semplicemente madre dei gemellini senza aggiungere se fosse quella biologica o naturale.

La donna in altre parole, ha argomentato il legale, non ha rivendicato uno status giuridico di genitore che non possedeva (biologica o naturale), ma quello sociale e umano per cui può dichiararsi madre non solo chi mette al mondo dei bambini, ma anche chi li cresce o, come in questo caso, ha la volontà di crescerli. Argomentazioni che hanno convinto il giudice il quale ha assolto la coppia perché il fatto non costituisce reato.
 

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Il Messaggero